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venerdì 31 dicembre 2010

Cosa resta dei film del 2010

Non si può certo dire che il 2010 sia un anno indimenticabile per il cinema. Tanti film, la maggior parte scivola via senza colpo ferire. Altri, pochi, rimangono nella mente. Proviamo a ricordarli insieme. Il 2010 è sicuramente l’anno di Avatar. Piaccia o non piaccia il mega kolossal di James Cameron ha segnato un nuovo modo di fare cinema. Diverso, non necessariamente migliore. Certamente un 3d funzionale al cinema prima di Avatar non si era ancora visto. Il regista di Titanic ha invece usato la tecnologia in modo espressivo e consapevole, creando un mondo coinvolgente e affascinante. Cosa non nuova per Cameron, che già con Titanic ma anche con The Abyss e Aliens of the Deep aveva dimostrato il proprio virtuosismo tecnico.
Il 2010 è l’anno de L’uomo che verrà, magnifico film di Giorgio Diritti, scandalosamente rimasto fuori dalla corsa agli Oscar, visto che i giurati italiani hanno deciso di candidare agli Academy Awards La prima cosa bella di Virzì. Buon film, per carità, ma noi italiani non siamo capaci di valorizzare Pompei, figurarsi un capolavoro come quello di Diritti. Lo aspettavamo da Il divo in poi, un capolavoro italiano, e ce lo siamo fatti sfuggire.
Resta nella memoria sicuramente The Road di John  Hillcoat, coraggioso adattamento dell’omonimo romanzo premio Pulitzer di Cormac McCarthy. Visto in verità già a Venezia 2009, The Road ha subito l’ostracismo della distribuzione italiana che lo giudicava “troppo deprimente” per mostrarlo al pubblico nostrano. Per fortuna ci ha pensato poi la Videa Cde, che lo ha parzialmente riabilitato, così come aveva fatto in precedenza con The Hurt Locker, film sulla guerra in Iraq che è valso il primo Oscar come miglior film a una donna, Kathryn Bigelow. Guarda caso l’ex moglie di Cameron.
Resta Il concerto di Radu Mihaileanu, appassionante e divertente storia di un’improbabile orchestra russa che va a suonare a Parigi. Resta Agorà di AlejandroAmenabar, storia della filosofa pagana Ipazia, che formula la teoria delle curve coniche per comprendere il moto dei pianeti prima di venire risucchiata dalle tenebre della nascente chiesa cristiana.
Restano i mondi fantastici di Cristopher Nolan e del suo Inception, uno dei più grandi capolavori mancati della storia del cinema. Freddo, spiegato, inerte di fronte al magma caotico dell’esistenza del suo Memento. Resta il Nelson Mandela interpretato da Morgan Freeman in Invictus di Clint Eastwood, storia della squadra di rugby sudafricana che vinse il mondiale nel 1995. Meglio scordarsi Shutter Island di Scorsese o Robin Hood di Oliver Stone.
Resta l’attesa per Tree of Life di Terrence Malick.
Resta Mario Monicelli.

giovedì 30 dicembre 2010

Clochard dietro la macchina da presa

A Milano i senzatetto muoiono congelati. A Marsiglia girano un film. Hope City è il risultato di un’idea nata cinque anni fa e realizzata grazie alla Boutique Solidarité, legata al centro di sostegno dei senzatetto di Marsiglia, la Fondazione Abbé Pierre. Il progetto parte da una proposta della regista Léa Jamet e dell’attore Théo Trifard, che frequentano il centro per animare un gruppo di incontro su base volontaria.
Dagli incontri settimanali sono nati la sceneggiatura e il cast del film, con i clochard che hanno scritto, girato e interpretato la storia in prima persona. Hope City è la città immaginaria dove i clochard proiettano le loro rivendicazioni verso un Paese, una città, un mondo che li rifiuta. I contrasti tra i nantis (benestanti) e lambdas (uomini qualunque) è forte e rude, così come nella realtà. La trama prende il via dalla promessa di un sindaco xenofobo di espellere i lambdas dalla città.
Sembra difficile che quest’opera abbia una circolazione nei cinema degna di questo nome, ma intanto è già bello sapere della sua esistenza. In un mondo che va sempre più in fretta, ben venga un’iniziativa che coinvolga chi non ha nemmeno un tetto sopra la testa in qualcosa da fare. Soprattutto un qualcosa che gli permetta di esprimersi e provare a far sentire la loro voce. O perlomeno di farla sentire a loro stessi.

mercoledì 29 dicembre 2010

La povertà del somaro

Nei giorni di Natale impazzano le classifiche. Classifiche e graduatorie di tutti i tipi. Su ogni cosa, ogni argomento. Non fa eccezione il cinema. “I film più belli dell’anno”, “I film più belli del decennio”, “I baci più romantici della storia del cinema”, “Il piano sequenza più natalizio del cinema armeno” e così via.
Belen Rodriguez,
considerata l'erede
di Gloria Swanson.
Gli uomini ne apprezzano
soprattutto la recitazione
stanislavskijana.
Ma chi fa cinema alla fine, gira e rigira, va a guardare sempre la classifica degli incassi. E allora, guardando quello che è successo a Milano nella settimana di Natale, si scopre che Aldo, Giovanni e Giacomo sono in testa con La banda dei babbi Natale e hanno stracciato il cinepanettone di De Laurentiis. Si direbbe uno scontro tra titani, una lotta all’ultimo sangue tra grandi maestri del cinema. Appurato che di fronte a De Sica, Belen e compagnia il trio di comici sembrano Blake Edwards, Ernst Lubitsch e Billy Wilder, non è che la sfida appassioni i cinefili più di tanto.
Da notare c’è semmai un altro dato: il flop clamoroso de La bellezza del somaro di Sergio Castellitto, che ha segnato poco più di 5mila presenze. Non si tratta di un capolavoro, anzi a dirla tutta nemmeno di un bel film. Ma è certamente un film originale, un’operazione coraggiosa, e curiosa, che meritava una maggiore attenzione da parte del pubblico milanese, che nel frattempo continua a premiare il nuovo Woody Allen. È sintomatico che un film italiano, realizzato e interpretato da un attore amato come Castellitto, abbia raccolto così poco interesse.
La bellezza del somaro è un film strano. L’inizio è agghiacciante, confuso e raffazzonato, girato in maniera nevrotica. Tutto sembra sconnesso e casuale. Piano piano, però, si ha l’impressione che la confusione e il nervosismo facciano parte di un disegno consapevole e coerente. Insomma, la confusione prende un ordine. E allora si finisce anche per divertirsi. Alcune battute sono memorabili, tipo quella di Castellitto quando torna in una casa invasa da amici e conoscenti quantomeno bizzarri: “E che è, il ritorno di Ulisse? La casa invasa dai proci?”. Non tutto è positivo, certamente. Jannacci sembra un santone che spara luoghi comuni a ripetizione. Laura Morante è, come sempre, troppo sopra le righe per essere credibile. E il tutto finisce per essere sovraccarico: di simboli, di idee, di tutto. Ma il somaro merita una possibilità di mettere in mostra la sua bellezza. Certamente più di quanto lo meritano altri.

martedì 28 dicembre 2010

Il cinismo di Woody Allen

“La vecchiaia l’ha fatto diventare cinico”. “Prima faceva film allegri, ora li fa tristi”. “Con il tempo ha cambiato il suo modo di vedere il mondo”. Sono queste le frasi più gettonate che hanno accompagnato pareri, critiche, recensioni all’ultimo film di Woody Allen. You will meet a Tall and Dak Stranger (Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni) è un film cinico e piuttosto triste. Ma dov’è la novità? È da Annie Hall (Io e Annie) che Allen propone una visione della vita non certo ottimistica.
Anthony Hopkins e Naomi Watts in
una scena dell'ultimo film di Woody Allen
L’inutile affannarsi alla ricerca della felicità, gli amori, le passioni, le relazioni sentimentali: tutto è sempre stato per Allen vano per trovare un completamento all’esistenza. Molto rumore per nulla, citando Shakespeare e la voice over dell’incipit del nuovo film. Allen ha sempre creato personaggi irrequieti sentimentalmente, ma incapaci di trovare la leggerezza dell’essere. L’unico sollievo per Allen è la creazione artistica, che per lui è un vero e proprio lavoro. Fare un film all’anno è il suo modo di esorcizzare le paure e di rifiutare la morte. Anhedonia è la parola chiave per capire i personaggi di Allen, ovvero incapacità di trarre felicità dall’esistenza. Doveva chiamarsi così Annie Hall, ma si potrebbe chiamare così tutta la sua produzione. Hannah and her Sisters, Crimes and Misdemeanors (Crimini e misfatti), Husband and Wives (Mariti e mogli) sono solo alcuni dei film che mostrano come il turbinio di sentimenti non faccia altro che riportare i personaggi alleniani alla stessa infelicità di partenza. You will meet a Tall and Dark Stranger non fa altro che inserirsi su un percorso già tracciato.
Cosa cambia dai film di qualche anno fa? Semplice, lui non recita più. Per quello gli ultimi film di Allen sembrano più cupi. Non essendoci più la sua maschera sullo schermo, lo spettatore non ride e non ha un palliativo di fronte ai temi tragici che il regista newyorkese ha sempre trattato, pur mitigati dalla sua tagliente ironia. Dostoevskijano, cechoviano, o’neilliano, sofocliano, sartriano, ibseniano. Niente di tutto questo. You will meet a Tall and Dark Stranger è un puro film alleniano.

lunedì 27 dicembre 2010

Basta cotechino! Vai al cinema

Per chi si fosse stancato di stare a casa a mangiare, tra lunedì 27 e martedì 28 dicembre lo Spazio Oberdan di Milano (MM1 Porta Venezia) offre la possibilità di vedere tre film di alto livello.
Si comincia lunedì alle 18 con Prick Up – L’importanza di essere Joe (1987) di Stephen Frears. Si tratta di un sarcastico spaccato dell’effimera stagione della Swinging London, con la storia vera del commediografo in erba Joe Orton, sedotto dal più maturo Kenneth Haliwell. Il cast è di primo livello: Gary Oldman, Alfred Molina e Vanessa Redgrave gli interpreti principali.
Martedì il piatto forte. Alle 18 c’è Inizio di primavera (1956) di Yashiro Ozu. Pur rientrando nel periodo crepuscolare del grande regista giapponese, il film ha molti motivi di interesse, soprattutto il modo in cui viene descritto il mondo del lavoro e la situazione sociale giapponese del secondo dopoguerra. In quest’opera Ozu si discosta dalla sua tradizionale messa in scena, fatta di lunghe sequenze e piani ripresi spesso dal basso, a favore di un montaggio molto più serrato e un ritmo più nervoso.
Per chi non lo avesse mai visto, è d’obbligo non perdersi, alle ore 21, Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene. È lo straordinario esordio cinematografico di Bene, che adatta il suo omonimo romanzo e rappresenta un perfetto esempio della sua arte: incontenibile, barocca, strabordante, folle, libera. Si resta incantati di fronte ai ricordi, alle allucinazioni, ai sogni e ai deliri dello scrittore pugliese protagonista del film. Certo, chi si arrabbia quando non tutto in un film ha un senso subito evidente potrebbe incazzarsi parecchio.

domenica 26 dicembre 2010

A Natale mi guardo un film

Tra un tacchino e un panettone, tra un cotechino e un pandoro, nelle feste di Natale un bel film non guasta mai. Ricordo da piccolo che ogni vigilia di Natale si guardava un classicone della Disney. Il più natalizio è sicuramente La carica dei 101, con tanto di ritorno dei dalmata in una casa addobbata dall’albero di Natale. A un certo punto della mia infanzia, i cartoni animati sono stati soppiantati dal mitico Home Alone (Mamma ho perso l’aereo), film natalizio per eccellenza. Ora, a distanza di qualche annetto cerco di recuperare un po’ di atmosfera natalizia stilando una playlist di film da rivedere durante le feste.
Per sentirsi ancora un po’ bambini, si può recuperare Willie Wonka e la fabbrica di cioccolato con Gene Wilder, nettamente migliore della versione di Tim Burton con Johnny Depp. Per restare in ambito favoleggiante, ci si può concedere Polar Express di Robert Zemeckis, Elf di Jon Favreau oppure Jack Frost, con Michael Keaton nei panni di un pupazzo di neve.
I cinici lupi solitari che vogliono riscoprire un po’ di magia del Natale possono fare una doppietta con Jim Carrey: Il Grinch di Ron Howard e A Christmas Carol di Robert Zemeckis. Per i romantici o gli accoppiati sono sempre disponibili Love Actually, L’amore non va in vacanza con Cameron Diaz, Kate Winslet, Jack Black e Jude Law, oppure Harry ti presento Sally, che si conclude con una notte di Capodanno speciale per Billy Crystal e Meg Ryan.
Per chi ama stare a tavola dalla vigilia a Santo Stefano a giocare con i parenti a tombola o a carte, è imperdibile Regalo di Natale di Pupi Avati, cronaca di un’infinita partita di poker tra Diego Abatantuono, Carlo Delle Piane, Alessandro Haber e Gianni Cavina. Da vedere in famiglia The Family Man con Nicholas Cage. Da non vedere assolutamente S.o.s. fantasmi con Bill Murray, orrendamente ispirato a Canto di Natale di Dickens.
Per chi volesse recuperare un classico hollywoodiano c’è Il miracolo della 34esima strada (1947) di George Seaton, la celebre storia dell’impiegato ai grandi magazzini che, assunto per impersonare Santa Clause, sostiene di essere Babbo Natale in persona. Da evitare il remake del 1994 con Richard Attenborough. 
Per chi ha capacità di visioni traversali e volesse vedere il meglio del cinema natalizio ci sono tre titoli imperdibili: La vita è meravigliosa di Frank Capra con James Stewart, probabilmente il più celebre film di Natale della storia del cinema, Una poltrona per due con Eddie Murphy e Dan Aykroyd e Nightmare Before Christmas di Tim Burton. Per chi è pigro e guarda solo quello che c’è in televisione, sarà inevitabile imbattersi in Tutti insieme appassionatamente e Il piccolo Lord, costantemente riproposti ogni Natale dal 1960 a oggi. Per chi invece come regalo avesse ricevuto dei Gremlins, beh allora non avrà tempo di vedere molto…

martedì 21 dicembre 2010

Esiliato in casa

20 anni senza cinema. La giustizia iraniana condanna non solo il corpo di Jafar Panahi, sei anni di carcere,  ma anche la sua mente. La sentenza è stata consegnata ieri al regista di Teheran, che fino al 2030 non potrà lasciare l'Iran e neppure girare film. In attesa dell'appello, la condanna al carcere è sospesa, ma Panahi è confinato nella sua casa, ridotto senza lavoro e senza libertà. 
L'accusa ai suoi danni è quella di aver girato un film anti-governativo che avrebbe fomentato le masse della protesta verde contro il regime di Ahmadinejad. Panahi, conosciuto al pubblico internazionale per aver vinto il Leone d'oro al Festival di Venezia del 2000 con il film Il cerchio, dovrà così rinunciare all'invito di Berlino, ma soprattutto dovrà rinunciare al cinema: il suo lavoro, la sua passione, la sua vita. In molti vedono l'accanimento contro di lui come un ammonimento generale dell'Iran contro i suoi artisti non allineati. Come spesso accade, è l'arte la prima nemica di chi governa. Il caso di Panahi non fa che confermare il fastidio dei (pre)potenti verso chi è in grado di creare. Più visibile o meno, il bavaglio incombe ovunque.

Martedì 21 dicembre: tracce di cinema

Una volta i barboni volavano. 
Oggi muoiono nel gelo delle notti milanesi, in un parco o nel parcheggio di un centro commerciale. O anche in Galleria del Corso, sotto una delle vetrine dello shopping meneghino. Questa sera, al Bloom di Mezzago (Via Curiel 39, 039623853, www.bloomnet.org), si proietta alle 21,30 Miracolo a Milano
Il film di Vittorio De Sica mantiene a 50 anni di distanza il suo fascino. Nel 1951, all'uscita nelle sale, fu criticato sia dagli intellettuali di sinistra che da coloro che ci vedevano tracce di eversismo comunista. Quello che rimane oggi è una favola, un po' ingenua, ambientata in una Milano ancora lontana dal miracolo economico, che può far sognare lo spettatore naif una città che non esiste più, e che probabilmente non è mai esistita. Il film è inserito nella rassegna “C’era una volta la fabbrica” che si conclude il 23 dicembre (ore 20,30 con I fidanzati di Ermanno Olmi nel 1963).

Se telefonando

"Mio fratello non mi chiama da due anni". A Gabriele Muccino, reduce dal successo planetario di Baciami ancora, piange il cuore quando parla del fratello Silvio, che lo ha disconosciuto da quando ha deciso di eguagliarlo e diventare un grande regista. "Non so perchè fa così, forse si compenetra così tanto nei personaggi che interpreta che si ritrova a prendere le distanze da se stesso e di conseguenza dalla sua famiglia"; Gabriele sciorina una fine analisi delle dinamiche della psiche del fratello. 

Il buon Silvio risponde con una frase che sembra uscita da Il Padrino: "La famiglia non si cancella, come ogni legame di sangue non si può spezzare, ma si può evitare che diventi una prigione". Insomma, Silvio vuole scappare, liberarsi dal tenebroso giogo di Gabriele e dal continuo confronto con suoi capolavori indimenticabili, come Ricordati di me e Come te nessuno mai, già diventanti capisaldi del cinema italiano.
Silvio non ha più lacrime da piangere per il fratello Gabriele. Come dice lui stesso nella conferenza stampa di presentazione della sua nuova fatica da regista, Un altro mondo, ha scongiurato in ginocchio Bruce Springsteen per avere Secret Garden nella colonna sonora del film. Il Boss lo ha ignorato a lungo, poi di fronte alla lacrimuccia di Muccinino si è sciolto e ha ceduto. 

Un altro mondo esce nei cinema il 22 dicembre, ed è una pellicola natalizia "che vuole scaldare il cuore con una storia alla Capra". Silvietto si autoiscrive, insieme a Castellitto, all'armata dei controcinepanettoni, quest'anno molto folta nei cinema italici. E' il racconto di un quasi trentenne senza radici, con un padre che praticamente non ha mai conosciuto, una madre algida e distaccata, il quale si trova a dover fare i conti improvvisamente con un fratellino che il genitore ha avuto in Kenya. Si promettono forti emozioni e buoni sentimenti natalizi. Nel frattempo, l'Italia resta trepidante sul filo. "Se io rivedendoti/fossi certa che non soffri/io ti rivedrei".

venerdì 17 dicembre 2010

Il lutto della settimana: Blake Edwards


Mary Poppins non è riuscita a salvare la Pantera Rosa.
Se n'è andato Blake Edwards, "lo scienziato dell'allegria", come lo ha descritto Roberto Benigni, che era stato diretto da lui ne Il figlio della pantera rosa. La moglie Julie Andrews, la celebre protagonista di Mary Poppins e Tutti insieme appassionatamente, lo ha assistito fino alla fine. Era dal 1993 che Edwards non girava un film, ma la sua celebrità la si deve soprattutto alle commedie brillanti degli anni '60: Colazione da Tiffany, Hollywood Party, La pantera rosa sono solo alcuni dei suoi successi. 

Audrey Hepburn, Peter Sellers, David Niven alcuni degli attori da lui diretti. Per la verità, già negli anni '50 aveva rivelato la sua brillantezza in Operazione sottoveste, con la grande accoppiata Cary Grant-Tony Curtis. 

Hollywood lo aveva trascurato dagli anni '70 in poi, e lui si era ritrovato in un limbo creativo da cui è comunque riuscito a tirar fuori Victor Victoria nel 1982. L'industria lo ha ripescato nel 2004, quando gli ha sinceramente consegnato l'Oscar alla carriera. Ora è già partita la gara al ricordo più struggente, all'aneddoto più emozionante, al complimento più altisonante. Per chi è fuori dallo star system, per ricordarlo o magari scoprirlo, resta solo da vedere uno dei suoi film. 

Venerdì cinesofico

Cosa è umano e cosa è mostruoso? Domanda lecita quando ci si trova davanti a Scilipoti o alle poesie di Bondi, ma anche di fronte a Diary of the Dead di George Romero. Proveranno a dare una risposta Alberto Pezzotta e Roberto Diodato, che questa sera presentano il film del padre degli zombie cinematografici all'auditorium San Fedele di via Hoepli (ore 21, 6,50 euro). 

Il tutto all'interno della rassegna "CineSofia - Incontri di cinema e filosofia", che fino a maggio 2011 presenterà settimanalmente un film filosoficamente pregnante. La formula è quella di accompagnare un critico cinematografico e un filosofo, che provano a stimolare la discussione intorno alle tematiche filosofiche sollevate dai film. D'altra parte, il cinema diventa spesso canale privilegiato delle riflessioni filosofiche degli autori e dei critici. Certamente, nessuno di loro sarebbe in grado di spiegare cosa ha spinto Silvio Muccino a girare un altro film come regista. Ma che, c'era qualcuno che lo spingeva da dietro? Spingitori di Silvio Muccino, su Rieducational Channel!

giovedì 16 dicembre 2010

Sentieri selvaggi

Giovedì 16 dicembre, tracce di cinema a Milano.
Se qualcuno vuole fare una serata all'insegna della cinefilia selvaggia questa sera ha più strade che gli si aprono davanti. Strette, difficili da trovare, ma che possono portare a una splendida oasi.
  • Centro Sperimentale, Viale D'Annunzio 15, aula magna, ore 18, ingresso libero.                                   I mestieri di oggi e di domani. Sei cortometraggi realizzati dal Centro sperimentale di cinematografia con tema il lavoro artigianale. I giovani artigiani del cinema, aspiranti registi, raccontano altri artigiani che operano tra le ombre cittadine. Tra i mestieri messi in scena: panettiere, sartoria, design, agricoltura.
  • Cinema Mexico, Via Savona, ore 20 e 22,30  Sounds & Motion Pictures. Una rassegna in lingua originale che presenta i film di maggiore successo del 2010. Ogni settimana si svolge in tre giorni e in tre sale diverse: lunedì all'Anteo, martedì all'Arcobaleno, giovedì al Mexico. Oggi in cartellone c'è Wall Street Money Never Sleeps, il seguito del celebre film di Ridley Scott con Michael Douglas. 

  • Associazione Culturale La Scheggia, Via Padova 133, ore 21,15, ingresso 2 euro  I dispersi 4. Quarta edizione dei film "invisibili", lavori introvabili e mai usciti al cinema. La rassegna è curata dalla webzine Hideout, che ha iniziato una ricerca sui titoli che non escono in sala. Questa sera si proietta il film corale Tokyo, che porta le firme di John hoo-Bong, Leon Carax e Michel Gondry.  Tre diversi punti di vista sulla capitale giapponese.
  • Cinema Gnomo, via Lanzone 30, ore 21 Milano per Kantor. Si celebra il grande regista teatrale polacco Tadeusz Kantor al ventennale della sua morte. In programma il film tv di Andrej Wajda che riprende nel 1976 la prima versione dello spettacolo di Kantor La classe morta. Kantor, grande sperimentatore del teatro del novecento, è diventato celebre grazie a quest'opera, caposaldo della ricerca espressiva teatrale.                                                                                                                                                                                                                                             Al cinefilo milanese la scelta.

Milano, città dei cinemi

15 febbraio 1960. La dolce vita in anteprima al Cinema Capitol, Milano.
15 dicembre 2010. Il cinema Capitol è un negozio di Armani.
Milano era la città dei cinema. 140 sale negli anni '70. Oggi sono 18. L'epopea di distruzione delle sale milanesi è raccontata nel documentario di Claudio Casazza, Era la città dei cinema. Un bellissimo documentario. Nostalgico, romantico, appassionato e arrabbiato. Incazzato. Quando le serrande di un vecchio monosala vengono tirate giù non si sta chiudendo solo un esercizio commerciale, ma anche un luogo di ritrovo. Un rifugio. Abbiamo assistito impotenti alle chiusure che ci sono state nel corso degli anni. Comune, Regione e Provincia sono stati a guardare. Il centro città sempre illuminato dalle insegne dei cinema è un pallido ricordo. Era la "piccola Broadway". Oggi è un cimitero, fatto dai resti delle vecchie sale. In Corso Vittorio Emanuele si è passati da 21 cinema a 3.  Liberalizzazioni, multiplex, mercato, messe a norma. Tutto vero. Ma sul serio questa ecatombe era inevitabile? Davvero è stato fatto il possibile per salvaguardare il patrimonio culturale di Milano? 
Oltre ai cinema, tanti bar e locali del centro hanno dovuto chiudere. Motivo? Dopo le 21 in piazza del Duomo e dintorni non c'è più nessuno. E' il tempo dei multisala in periferia, baby. Dove il cartellone è sempre omogeneo; tutti mandano gli stessi film. I titoli grossi in più sale per volta.

Forse chi ama il cinema, ma prima ancora chi ama scegliere, preferiva i 21 monosala del centro, ognuno con un film diverso.
Ah, dove potete vedere il film di Casazza? Da nessuna parte, ovviamente. Era la città dei cinema resta nella schiera degli invisibili: solo il cinema Rondinella di Sesto San Giovanni e la Scuola Teatro Paolo Grassi di via Salasco lo hanno proiettato.
Quando un altro cinema chiuderà e diventerà un parcheggio, magari qualcuno dirà sommessamente qualcosa per protestare, per chiedere tutela ecc. ecc. Poi un eminente uomo di cultura, esponente dell'intellighenzia italiota dirà: "Provate a mangiarvi un panino con Fellini". E allora rinunceremo senza parlare a un altro pezzo di storia e cultura della nostra città. 
Sarà la città dei cinemi.
 

sabato 11 dicembre 2010

Cinema Milano

“Il cinema è un’invenzione senza futuro”. Louis Lumière la pensava così su quello che aveva inventato con il fratello August. 105 anni dopo possiamo dire che forse aveva torto. Di pellicola ne è passata e ne continua a passare nelle sale cinematografiche di tutto il mondo. Oggi quasi chiunque è in grado di girare un film con poche centinaia di euro, con una tele camerina digitale se non addirittura un cellulare. Chiunque può scaricare da internet qualsiasi film abbia voglia di vedere. Quando i vecchi cinema diventano negozi e centri commerciali e neppure i multiplex se la passano più così bene; quando un film diventa un file. Proprio ora c’è bisogno di una riscoperta del cinema e dei suoi luoghi. Non si è mai visto così tanto cinema come adesso, ma siamo sicuri di sapere che cosa stiamo vedendo?
A Milano, cerchiamo frammenti di cinema. Sparsi per la città, sale, cineforum, teatri o scuole. Dove ancora si prova a far vivere l’arte cinematografica. Dove si sperimentano nuove forme espressive e dove si vuole conoscere la storia del cinema. Dove c’è ancora traccia di una visione consapevole. Traccia di una scelta. Dove ancora, quando si spengono le luci della sala e sta per cominciare il film, c’è qualcuno che sente l’emozione dell’inizio dello spettacolo.