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lunedì 28 febbraio 2011

Oscar 2011: i vincitori

Sarà pure balbuziente, ma il re si porta a casa tutto. Miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior sceneggiatura originale. La notte degli Oscar 2011 incorona Il discorso del re di Tom Hooper con Colin Firth. Battuto The Social Network, il rivale più temuto. La statuetta più importante, quella per il miglior film, era quasi scontata, così come il premio a Colin Firth, scippato lo scorso anno per la sua interpretazione in A Single Man. C'era voglia di tradizionalità agli Academy, e Il discorso del re era il film più classicheggiante nella batteria di pretendenti alla vittoria finale. Stupisce l'Oscar per la miglior regia, visto che Il discorso del re si affida più che altro agli attori. Fincher, Aronofsky e i Coen avrebbero certamente meritato di più.
Come migliore attrice viene giustamente premiata Natalie Portman, straordinaria prima ballerina di Black Swan. The Fighter, film boxistico in uscita nelle sale italiane il 4 marzo, porta a casa i due premi per gli attori non protagonisti, Christian Bale e Melissa Leo. Niente Oscar alla quattordicenne Haileen Steinfield, l'ottima esordiente de Il Grinta
The Social Network si consola con i premi per la sceneggiatura non originale e per la colonna sonora firmata da Trent Reznor, leader dei Nine Inch Nails. Gli Oscar tecnici sono dominati da Inception che conquista quattro statuette: fotografia, effetti sonori, montaggio audio, effetti speciali. Scontata la vittoria di Toy Story 3 nella categoria dei film di animazione, tra i film stranieri ha la meglio In un mondo migliore della danese Susanne Bier. Sconfitto Biutiful di Inarritu con Bardem. Tra le stranezze dell'Academy, un film mediocre come Alice in Wonderland vince due Oscar per la scenografia e i costumi. Battuta l'unica rappresentante italiana, Antonella Cannarozzi, nominata per i costumi di Io sono l'amore.

sabato 26 febbraio 2011

Oscar: i pronostici

Tra poche ore il Kodak Theater sarà il centro del mondo. Perlomeno di quello cinematografico. Nella notte tra domenica 27 e lunedì 28 febbraio l’Academy consegna gli Oscar 2011. E come al solito è partito il carrozzone mediatico concentrato sui vestiti e accompagnatori delle star. C’è poi chi si avventura nei pronostici della vigilia. L’anno scorso c’era stata la contrapposizione creata ad hoc tra gli ex consorti James Cameron e Kathryn Bigelow. La spuntò la Bigelow con The Hurt Locker, film in realtà del 2008 ed eccessivamente rivalutato dai critici. Quest’anno sarà dura ripetere la fortunata kermesse mediatica del 2010, ma la qualità sembra più alta di dodici mesi fa.
Tra i candidati per il miglior film ce ne sono molti che potrebbero piacere ai giurati. Dal western classicheggiante de Il Grinta alla storia di pugilato di The Fighter, sono molte le storie che storicamente piacciono al pubblico americano. Ma né Il GrintaThe Fighter sembrano in grado di ripercorrere la strada di Balla coi lupi o Gli spietati in un caso, di Rocky o Toro scatenato nell’altro. La sfida sembra essere circoscritta a Il discorso del re e The Social Network. L’affresco storico alla inglese o la fotografia della genesi di Facebook? Sembra leggermente avvantaggiato Tom Hooper, anche perché a David Fincher può arrivare la consolazione della migliore regia, categoria in cui è stato clamorosamente escluso Cristopher Nolan. Inception è nella decina dei migliori film, ma il suo pregio è proprio l’aspetto tecnico e registico. Mah.
Tra gli attori, come sempre, la corsa sembra più scontata. Tutto porterebbe alle vittorie di Colin Firth, il re balbuziente, e Natalie Portman, la splendida prima ballerina di Black Swan. James Franco presenta la serata e quindi difficilmente arriverà a insidiare Colin Firth, ma Annette Bening potrebbe covare qualche speranza per la sua madre del terzo millennio di I ragazzi stanno bene. Tra i non protagonisti, i favoriti sembrano Christian Bale (The Fighter) e l’esordiente Haileen Steinfield, per la sua ragazza cowboy in Il Grinta. Il film dei Coen qualcosa porteranno a casa.
Toy Story 3 sembra non avere rivali tra i film di animazione, anche se L’illusionista di Sylvain Chomet su un vecchio soggetto di Jacques Tati è davvero notevole.
Sfida accesa per il miglior film straniero: parte in vantaggio Biutiful di Alejandro Inarritu, ma qualche chance ce l’hanno anche Hors la loi di Rachid Bouchareb e In un mondo migliore della danese Susanne Bier, vincitrice ai Golden Globe. Mancano due grandi film: Des hommes et des dieux  di Xavier Beauvois e L’uomo che verrà di Giorgio Diritti. Il francese è stato ignominiosamente escluso dai giurati dell’Academy, l’italiano è stato autoescluso dai luminari del nostro Paese.

mercoledì 23 febbraio 2011

Il Grinta fa l'occhiolino

Di occhio ne ha uno solo. Ma quello lo strizza bene. E' Il Grinta dei fratelli Coen, uscito nelle sale italiane venerdì 18 febbraio. Un film che piace e sa di piacere. Un western duro e puro, con pochi fronzoli ma tanta tecnica. I Coen arrivano al genere per eccellenza del cinema made in Usa, il western appunto, dopo averlo sfiorato a più riprese, l'ultima volta con Non è un paese per vecchi. Il Grinta è la tipica storia da frontiera che può piacere tanto agli americani e dunque ai giurati dell'Academy, con tutti gli elementi del caso: l'azione, il sentimento, il viaggio, il rapporto con la wilderness. E un magnifico protagonista, un Jeff Bridges che sembra nato apposta per il ruolo di questo sceriffo fuorilegge, duro ma in fondo buono, ovviamente alcolizzato come il 95% dei personaggi interpretati dal premio Oscar 2010.
Qui è Rooster Cogburn, assoldato dalla quattordicenne Mattie Ross, interpretata da un'ottima Haileen Steinfield, per dare la caccia all'assassino di suo padre. Ma Tom Chaney è ormai fuggito in territorio indiano e per seguirlo ci vuole fegato, o grinta appunto. Insieme all'improbabile coppia parte il Texas Ranger LaBoeuf, che ha il volto di un sempre più versatile Matt Damon.
I Coen adattano il libro di Charles Portis, A True Man for Mattie Ross, si fanno produrre da Spielberg e buttano un occhio al cinema classico. Con la consueta ironia, specialmente nella caratterizzazione della banda di criminali. Sembra di trovarsi in Fargo, anche lì una donna doveva fare i conti con se stessa e la propria forza interiore, in un panorama da frontiera. Lì la neve, qui la polvere, ma il succo è lo stesso. Quello che manca rispetto al solito è il gusto per la rottura, la decostruzione dei generi, tipica della filmografia dei Coen. Ma si resta incollati allo schermo per tutta la visione, grazie a una regia magistrale e a una sceneggiatura che non fa battute a vuoto. 
C'è chi si lamenta. Ma cos'avranno voluto dire? Qual è il messaggio che ci avranno voluto lanciare? Perchè non hanno fatto un western più atipico? ecc. ecc. Chi se ne frega, Il Grinta è un bel film.

Il nuovo volto del cinema cinese

La Cina è sempre più al centro del mondo. Mercoledì 23 febbraio si prova a capire se lo è anche il suo cinema. L'Istituto Confucio dell'Università degli Studi organizza un doppio appuntamento intitolato "Ombre... eclettiche - Il nuovo volto del cinema cinese". L'obiettivo è quello di fare un'analisi delle società cinese attraverso la proiezione di spezzoni di film. Da Chen Kaige a Zhang Yimou, da Addio mia concubina a Lanterne rosse, si cercherà di rendere conto delle trasformazioni della società cinese attraverso le opere dei grandi registi. Si parlerà anche dei problemi con la censura che devono affrontare gli autori. 
Primo appuntamento alle 16,30 al Polo di mediazione interculturale dell'Università degli Studi di Milano (Sesto Marelli, piazza Montanelli, ingresso libero) con la sinologa Luisa Prudentino dell'Università Dauphine di Parigi. Alle 21 ci si trasferisce a Sesto San Giovanni in Sala Talamucci, Villa Visconti d'Aragona (via Dante 6, ingresso libero) sempre con Luisa Prudentino e con Alessandra Lavagnino, direttrice del'Istituto Confucio.

martedì 22 febbraio 2011

Berlino: i vincitori

Il Medio Oriente brucia. E vince. Mentre i paesi meditarranei e mediorientali si rivoltano e cacciano dittatori, un film iraniano vince l'Orso d'oro. Si è conclusa domenica 20 febbraio la 61esima edizione del festival di Berlino e a trionfare è stato Asghar Farhadi con il suo Nader and Simin, A Separation. Il film racconta la storia di due coniugi iraniani: lei vuole andarsene, lui vuole rimanere in aiuto del padre malato. Fahradi è ormai un habituée di Berlino, visto che lo scorso anno ha vinto un Orso d'argento con About Elly. Il film di Fahradi porta anche a casa i premi agli attori. Medaglia d'oro per l'intero cast, maschile e femminile, della pellicola.    
Il Gran Premio della giuria, presieduta da Isabella Rossellini, è andato a The Turin Horse dell'ungherese Bela Tarr, che ha annunciato il suo ritiro dal mondo del cinema nel momento della premiazione.
Nel complesso, l'edizione di quest'anno non pare sia stata particolarmente ricca. Uno dei momenti più importanti è stata la presentazione di Unknown, il thriller adrenalinico dello spagnolo Jaume Collet-Serra. Il film, recitato da Liam Neeson e Diane Kruger, è stato girato a Berlino e forse anche per questo ha raccolto molto entusiasmo tra il pubblico. 
L'Italia torna a casa con gli applausi ricevuti da Qualunquemente. Risate, certo ma anche una bella certezza per i tedeschi: "Qualcuno che sta peggio di noi c'è sempre."

Da Hoover a Gatsby, le mille facce di Leonardo Di Caprio

J. Edgar Hoover e il grande Gatsby. Che cos’hanno in comune un direttore dell’Fbi e il protagonista di un romanzo di Francis Scott Fitzgerald? Saranno interpretati entrambi da Leonardo Di Caprio in due film di prossima uscita.
Sono partite in questi giorni le riprese del biopic su Hoover, diretto da Clint Eastwood. Di Caprio veste i panni di Hoover, che guidò l’Fbi dal 1924 al 1972. Il film si propone di indagare a fondo la figura di Hoover, che Eastwood considera uno dei suoi miti di infanzia. Lo script di Dustin Lance Black, sceneggiatore di Milk, affronta gli aspetti più controversi legati alla vita di Hoover: il rapporto con la madre e l’omosessualità. Già negli anni ’40 si era parlato dell’omosessualità di Hoover, che aveva sempre negato per poi usare la stessa arma contro il candidato alla Casa Bianca Stevenson. Per la parte del compagno di Hoover, Clyde Tolson, Eastwood ha scelto Armie Hammer. Ma secondo il regista «la condizione di gay fu il minore dei suoi problemi». Di Caprio, diretto per la prima volta da Eastwood, sarà chiamato a una grande prova per riuscire a restituire la complessità di un personaggio che portava con sé un grande potere occulto e tanti segreti.
Subito dopo, Di Caprio dovrà diventare un playboy miliardario nel nuovo adattamento de Il grande Gatsby. La regia sarà di Baz Luhrmann, l’autore di Moulin Rouge e Australia e le riprese saranno a Sydney. Insomma, il buon Leo ha tagliato il cordone ombelicale che lo legava al suo maestro Martin Scorsese e sta diventando la prima scelta dei grandi registi. Per quale ruolo? Tutti.

Monicelli, un breve ricordo

E' stato uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi. Mario Monicelli si è tolto la vita poche settimane fa, e qualcuno è pure riuscito a costruirci sopra una polemica. Per fortuna c'è chi preferisce ricordarlo con i suoi film, quel magnifico 95enne che ancora girava i festival di cinema per conto suo. Perché Monicelli il cinema non ha mai smesso di amarlo. Il cinema Gnomo lo omaggia con una piccola rassegna da martedì 22 a giovedì 24 febbraio. Una tre giorni che si apre con I soliti ignoti, martedì 22 alle 20,30. Tra mercoledì e giovedì si proiettano altri quattro film, non tra i più conosciuti del grande regista. Si tratta di Totò cerca casa, firmato insieme a Steno, Un eroe dai nostri tempi, con Alberto Sordi, Vita da cani, con Aldo Fabrizi, e Risate di gioia con Totò e Anna Magnani.
Per il programma completo: www.comune.milano.it.

Lorenzo Lamperti

lunedì 21 febbraio 2011

Black Swan: Natalie Portman da Oscar

Bianco o nero. Oppure bianco e nero. Nina è l'uno e l'altro, ma ancora non lo sa. Per diventare la vedette del balleto di New York ed essere la protagonista de Il lago dei cigni è costretta a fare uscire in superficie la parte nera della sua personalità. Una parte che in realtà è sempre stata presente, latente e incontenibile.
Natalie Portman è uno splendido cigno, sia bianco sia nero, in Black Swan di Darren Aronofsky. Presentato all'ultimo festival di Venezia, Black Swan arriva nelle sale dopo aver raccolto elogi e molte critiche. In tanti aspettano al varco Darren Aronofsky, regista da sempre controverso. Il suo primo film, Pi Greco, è forse l'esordio più scioccante dai tempi dell'Eraserhead di Lynch. Angoscia e paranoia in bianco e nero, appunto. Poi Requiem for a Dream e The Fountain (L'albero della vita): onirici, surreali, eccessivi, soprattutto il secondo. Nel 2008 la svolta: The Wrestler è una perla, un viaggio straordinario scavato nelle ferite e nelle rughe di Mickey Rourke.
Black Swan è la danza, riuscito incrocio tra l'immaginario paranoico dei primi film e lo stile di ripresa semi-documentaristico di The Wrestler. Come aveva fatto con Mickey Rourke, stavolta Aronofsky dipinge il film sul volto e sul corpo di Natalie Portman. Un corpo graffiato, lacerato, eppure perfetto. Le atmosfere claustrofobiche sono accentuate dallo stile di ripresa, con camera quasi sempre a mano e ritmo nervoso. Rourke e Portman, magnifica, sono tutti e due malati. Imprigionati nel loro personaggio, entrambi si inchinano al loro destino. E il sentimento di ineluttabilità è forte sin dai primi minuti di visione. Il risultato è un film conturbante, quasi disturbante nella sua bellezza. C'è chi si lamenta dei risvolti psicologici: "Banali", dicono. "Niente di nuovo". Benissimo, ma se si entra un po' più in profondità nella materia filmica ci si accorge che l'intenzione di Aronofsky non era interessato a fare un trattato psicoanalitico. Le dinamiche mentali di Nina non sono importanti di per sé, ma trovano il loro senso nella messa in scena del balletto di Cajkovskij. La tragedia narrativa si incrocia con quella personale. Il regista dello spettacolo, interpretato da un ottimo Vincent Cassel, critica Nina: "Sei troppo perfetta". Ma è proprio attraverso la perfezione che Nina può essere cigno. Bianco. E nero.

LA CITAZIONE, 21 febbraio 2011


"Il denaro fa girare il mondo"
"Qualcuno dice l'amore"
"Non è sbagliato, l'amore per il denaro"
(Heist, [Il colpo], David Mamet).

venerdì 18 febbraio 2011

FILM IN SALA, 18 febbraio

Weekend ricco di uscite quello che parte con venerdì 18 febbraio. E quando diciamo uscite diciamo uscite. Di film interessanti. Belli? Staremo a vedere. 
Innanzitutto esce Il Grinta dei fratelli Coen, remake del celebre western con cui John Wayne vinse il suo unico Oscar nel 1969. Presentato al Festival di Berlino e in concorso per l'Oscar, Il Grinta può contare su un cast pazzesco: Matt Damon, Josh Brolin e Jeff Bridges, l'attore coeniano per eccellenza. Interessante vedere il ritorno dei Coen al genere: dopo la parentesi alleniana di A Serious Man, mancava la decostruzione del western nella loro ricca filmografia.
Non suscita meno interesse l'uscita di Black Swan (Cigno nero), non fosse altro per la presenza della magnifica Natalie Portman, favorita numero uno per il primo Oscar della sua carriera. E' la storia di una ballerina di danza classica che vive uno sdoppiamento di personalità come il personaggio che interpreta sul palco. I film di Aronofsky o si amano o si odiano. Chi l'ha visto all'ultimo festival di Venezia l'ha detestato o adorato, senza mezzi termini. Un po' la stessa cosa era successa con i suoi precedenti Requiem for a Dream  e The Wrestler, uno dei più bei film americani degli ultimi anni. Con Cigno Nero, Aronofsky promette di tornare alle sue atmosfere dark e allucinogene, che lo avevano fatto conoscere ai cinefili di mezzo mondo con il suo stupendo debutto di Pi greco.
Arriva in sala anche A Winter's Bone (Un gelido inverno nella traduzione italiana), un piccolo film indipendente che ha consacrato il talento della giovane Jennifer Lawrence, candidata anche lei agli Oscar che verranno consegnati il prossimo 27 febbraio. La Lawrence interpreta un'adolescente che si ritrova a dover sostituire i genitori nell'educare i suoi due fratelli minori, e difenderli dall'imminente sfratto. 
Torna sul grande schermo anche James L. Brooks, il papà dei Simpsons. Era da Spanglish del 2004 che Brooks non girava un film. Ora esce Come lo sai, commedia con Reese Whitterspoon e Jack Nicholson, che aveva recitato con Brooks già in Qualcosa è cambiato
Sembrano sacrifricabili Amore&altri rimedi, firmato da Ed Zwick (L'ultimo samurai) e Io sono il  numero quattro di D.J. Caruso, ennesimo primo capitolo di una fantasaga. Speriamo che i seguiti restino nel cassetto. Così, a partito preso.
Ricapitolando, nel weekend del perfetto cinefilo ci devono entrare: 
  • Il Grinta
  • Il cigno nero
  • Io sono un autarchico (in programmazione su Fuori orario, Rai 3, nella notte tra venerdì 18 e sabato 19)
  • Un gelido inverno
  • Inter-Cagliari (non si può passare la vita davanti allo schermo)    

giovedì 17 febbraio 2011

Lezioni aperte su fotografia e cinema

Stanley Kubrick, Wim Wenders, Michelangelo Antonioni, Andrej Tarkovskij, Pedro Almodovar. Sono tanti i registi che sono, o sono stati fotografi. La Feltrinelli di via Manzoni a Milano organizza un ciclo di incontri sul rapporto tra fotografia e cinema. Quattro incontri, sempre di giovedì alle 17,30, con Roberto Mutti dell'Istituto italiano di Fotografia. Il 3 febbraio si è svolto il primo incontro, intitolato "Una storia parallela", nel quale si è proposto un viaggio alle origini della settima arte. Il passaggio dalla ripresa di un istante fisso alla ricerca del movimento. Dalla cronofotografia alle lanterne magiche. Da Muybridge a Edison fino ai fratelli Lumière, o a quelli Skladanowsky. 
Giovedì 17 febbraio c'è in programma il secondo appuntamento, dal titolo "I fotografi e il cinema", con le testimonianze di fotografi di scena, direttori della fotografia e ritrattisti. Giovedì 24 febbraio si parla dei registi fotografi. Il 3 marzo della presenza della fotografia nel cinema. 
Non solo Professione: reporter. Parafrasando Godard, tra una fotografia e un film non c'è una differenza qualitativa, ma quantitativa.

Dorian Gray, la malafemmina ci ha lasciato

"Veniamo noi, con questa mia, addirvi... addirvi una parola". Firmato: "i fratelli Caponi, che siamo noi". Solo lei ha ricevuto una lettera del genere da loro. La lei è Dorian Gray. No, non il protagonista del celebre racconto di Oscar Wilde, quello era un uomo. La Dorian Gray in questione era Maria Luisa Mangini, morta suicida a Torcegno, Trentino, mercoledì 16 febbraio. I loro erano Totò e Peppino De Filippo. La maggior parte degli italiani la ricorda con loro, nel magnifico Totò, Peppino e la malafemmina di Camillo Mastrocinque, anno 1956. In quel film Dorian Gray fa la ballerina a Milano, e quindi una donna di malaffare per i sudisti zii di Gianni, innamorato perso della biondona sexy. E non era solo Teddy Reno, il Gianni del film, a essere innamorato di lei. Nel 1954 un servizio su Le Ore lanciava Dorian Gray, ritraendola con un trucco alla Marylin. 
Dorian era di Bolzano, e prima di lavorare con Totò e Peppino faceva la parte della bella maggiorata in commedie di scarse pretese. Dopo aver svestito i panni della malafemmina, prova a sfondare nel cinema d'autore. Ha un ruolo ne Le notti di Cabiria, Fellini, fa la benzinaia ne Il grido, Antonioni, soprattutto vince un Nastro d'argento per la prova in Mogli pericolose di Luigi Comencini. A differenza di molte altre attrici italiane, non sposa un produttore. Forse anche per questo Hollywood rimane solo un sogno per lei. Quando non ha ancora compiuto 30 anni si ritira dal cinema e torna a Bolzano, anzi a Torcegno. Ed è qui che 45 anni dopo si toglie la vita sparandosi in testa. E ora ci saranno quelli che si produrranno in paralleli e paragoni con Monicelli e altri celebri attori, attrici e registi suicidi. Ma lei era solo e semplicemente Dorian Gray, e probabilmente non era invecchiata solo su una tela.

mercoledì 16 febbraio 2011

Tassa di scopo: le Camere dicono sì

Luglio 2011. La bacheca degli annunci di aspiranti spettatori del cinema Odeon.
Ora è ufficiale. Da luglio, i portafogli degli spettatori italiani verranno alleggeriti ancora di più. Le Camere hanno approvato il milleproroghe, ovvero una legge finanziaria truccata da decreto sul quale il governo ha posto la fiducia. Tra i numerosi provvedimenti c'è anche quello sulla tassa di scopo. Un euro in più per ogni biglietto staccato dai cinema, o meglio cinemi, nostrani. Tra sgravi fiscali per le banche, salva-precari e anticipi dell'Irpef ai comuni in difficoltà, il provvedimento sul cinema passa inosservato, in un angolino. Eppure denota ancora una volta la miopia e la sufficienza con la quale le nostre istituzioni guardano al cinema e alla cultura in generale. 
Il settore guadagna qualche soldo in più? Vi piace il cinema, eh? E allora beccatevi questa, pagate un euro in più! Potrebbe essere questa la profonda riflessione politica che ha guidato chi ha deciso l'istituzione di questa imposta che va a incidere negativamente sul pubblico ma anche sugli esercenti, che dovranno fare i conti con una prevedibile diminuzione di spettatori. Sì, perché 9 euro e 50 per un film cominciano a essere troppi. Altro che cultura per tutti, verrebbe da dire. E il prezzo più alto lo pagheranno ovviamente i cinema storici e d'essai. Eh sì, perché i multiplex possono ammortizzare con degli sconti sostanziosi sulla pellicola seguente alla prima (se per esempio Natale a Cerveteri viene mandato in 5 sale, il multiplex paga la prima pellicola a prezzo pieno, le altre a prezzi agevolatissimi). Cosa che possono fare relativamente i multisala del centro e che è del tutto impossibile per i monosala.
Ah, ma giusto! Lo fanno per il cinema italiano. E allora non gli si può dire niente. D'altra parte, Medusa ha bisogno di titoli in catalogo.

Lorenzo Lamperti

Altri articoli sulla tassa di scopo:
http://ecconomia.wordpress.com/2011/02/17/due-promesse-milleproroghe/

LA CITAZIONE, 16 febbraio 2011


"E' piacevole parlare con te. E' come applaudire con una mano sola".
Mickey Rourke, L'anno del dragone, Michael Cimino

martedì 15 febbraio 2011

Lo Gnomo va in montagna



Altro che Gnomo, il cinema di via Lanzone vola in alto. Dal 15 al 20 febbraio torna, per il terzo anno consecutivo, la rassegna "Cinema di vetta", e a ospitarla è ancora una volta la sala d'essai gestita dal comune di Milano. La rassega mette in mostra una grossa selezione di film, tutti di montagna. Gli argomenti spaziano dall'alpinismo alla natura, dall'avventura all'esplorazione. Il tutto sotto l'egida della Cineteca nazionale del Cai, la Sezione di Milano del Club Alpino Italiano. Tutte le serate sono presentate dal giornalista Piero Carlesi. Quasi tutti i film sono italiani, ma ci sono anche titoli dalla Svizzera e dagli Stati Uniti. Un festival che pare destinato solo a un ristretto gruppo di appassionati, forse. C'è un però. L'ingresso è libero. Per una volta ci si può anche provare a fingere esperti scalatori di montagne.

lunedì 14 febbraio 2011

Miracolo al cinema

Miracolo allo Strehler. Lunedì 14 febbraio, alle 19, viene presentata al teatro Strehler di Milano la versione restaurata di Miracolo a Milano, il film di Vittorio De Sica del 1951. Sono passati 60 anni dalla sua prima proiezione al cinema Odeon e ora i milanesi provano a vedere se c'è in loro ancora qualche traccia di quelli, un po' edulcorati, messi in scena dal grande regista di Ladri di biciclette e Umberto D. Miracolo a Milano è celebre soprattutto per il volo dei barboni sulle scope sopra le guglie del Duomo. Ai tempi, lo criticarono sia destra che sinistra. Da una parte vedevano il magico volo finale l'ascesa alla società socialista. Dall'altra ne criticarono aspramente il buonismo. La realtà di oggi è quella di un film che può offrire ai milanesi un'occasione per vedere la propria città su un grande schermo. E in un film d'autore. 


domenica 13 febbraio 2011

Gianni e le donne


Gianni è tornato. Il sessantenne romano che aveva conquistato il pubblico nel 2008, occupandosi di un’allegra combriccola di anziane signore nel delizioso “Pranzo di Ferragosto”, è protagonista di una nuova pellicola. Non si tratta dello stesso personaggio ma di un suo doppio. Ne conserva il nome, la maschera ricalcata su se stesso da Gianni Di Gregorio, il quartiere di residenza, persino la madre. Stavolta però le donne della sua vita sono molte di più e di ogni età: la moglie glaciale, la figlia adolescente (figlia dello stesso Di Gregorio), la badante della madre, la giovane vicina, un’amica di famiglia non vista per anni, una vecchia fiamma e un turbinio di altre creature di sesso femminile che gli si aggirano intorno anche solo quando cammina per la strada. Basta che un suo amico gli apra gli occhi sul fatto che lui sia l’unico uomo in circolazione a non avere un’amante per scuoterlo dal torpore e dall’apatia dell’età che avanza.
In un momento in cui si discute tanto in Italia dei rapporti tra uomini maturi e giovani ragazze, “Gianni e le donne” giunge in sala come dimostrazione evidente che col venir meno di due fattori, soldi e potere, l’uomo maturo agli occhi della giovane ragazza non è altro che un “nonno”. Il personaggio, separato da un confine piuttosto labile dall’attore, che coincide a sua volta con lo sceneggiatore e con il regista, compie questa riflessione con lo stesso perfetto equilibrio della sua opera precendente tra ironia e malinconia, sottile e per questo più struggente. Di Gregorio conferma nei panni della madre l’esilarante Valeria de Franciscis Bendoni, trasformandola in un’icona dell’immaginario collettivo, sfrutta la spontaneità degli attori-non attori che sceglie e procede nella narrazione per quadri successivi con una leggerezza che è ormai cifra stilistica del suo fare cinema. Il legame con il primo film è talmente forte che sembra possa esserci un nuovo capitolo in cantiere, come ideale completamento di una trilogia. E’ quello che il regista ha solo accennato ed è quello che ci auguriamo succeda.

Roberta Pellegrini
iCine.it

sabato 12 febbraio 2011

LA CITAZIONE, 12 febbraio 2011


Mio fratello mi picchiava. Mia sorella picchiavia mio fratello e me. Mio padre picchiava mia sorella, mio fratello e me. Mia madre picchiava mio padre, mia sorella, mio fratello e me. I vicini picchiavano tutta la famiglia. Quelli dell'altro isolato picchiavano i vicini e tutta la mia famiglia.
(Zelig, Woody Allen)

venerdì 11 febbraio 2011

Cinesofia, venerdì 11 febbraio

Venerdì 11 febbraio, ore 20
Auditorium San Fedele, Via Hoepli
per la rassegna Cinesofia
Una storia vera di David Lynch
Nuovo appuntamento con la rassegna cinesofica, che si propone di esplorare le contaminazioni tra filosofia e settima arte. E' il turno di David Lynch e Una storia vera, film atipico all'interno della produzione del regista del Montana. Niente mostri, niente allucinazioni, niente atmosfere lynchane in questo film, che racconta la storia di un anziano che attraversa l'America su una motofalciatrice per andare a trovare il fratello reduce da un infarto. Prima della proiezione, spazio alla discussione con Bruno Fornara e Fulvio Carmagnola sull'"Essere al mondo e narrazione".

Berlino Film Festival 2011

Che verso fa l'Orso? E' da tempo immemore che il cinema italiano non lo ascolta più. Esattamente dal 1991. Anno in cui Marco Ferreri vince il festival di Berlino, e dunque l'Orso d'oro, con La casa del sorriso. Da allora, solo mazzate, esclusioni, indifferenza. Per il 2011 la parola dell'anno è macchietta: i tedeschi potranno divertirsi con Qualunquemente di Antonio Albanese, presentato venerdì 11 febbraio ovviamente fuori concorso. Fa comunque specie l'indifferenza generale, soprattutto in televisione, verso questo festival, che ha da tempo sbaragliato Venezia al secondo posto delle manifestazioni cinematografiche più importanti in Europa.
L'edizione 2011 si è aperto giovedì 10 febbraio con Il Grinta dei fratelli Coen, accolto bene dalla critica e benissimo dal pubblico. Jeff Bridges ha spopolato tra interviste e photocall. Ma la Berlinale diretta da Dieter Kosslick ai lustrini lascia poco spazio. Molta sostanza, dunque, con un interessante misto di grandi maestri ed esordienti più o meno giovani. Nella prima categoria rientrano Wim Wenders e Werner Herzog che presentano rispettivamente una biografia di Pina Bausch e un documentario in 3d. Presente anche Bela Tarr, il maestro del cinema ungherese, con The Turin Horse, che racconta un episodio della vita del filosofo Friedrich Nietzsche. Esordio dietro la macchina da presa per Ralph Fiennes con Coriolano, trasposizione del dramma shakespeariano. L'incombenza di consegnare l'Orso ce l'avrà Isabella Rossellini, che presiede la giuria.
Tra le numerose sezioni collaterali meritano una citazione Culinary Cinema, consueta rassegna di titoli legati al tema del cibo, e la retrospettiva su Ingmar Bergman. Si tratta di un omaggio a uno dei più grandi registi di tutti i tempi. Per il pubblico di Berlino sarà possibile vedere non solo i moltissimi film da lui diretti, ma anche quelli da lui sceneggiati, a partire da Spasimo di Alf Sjoberg. Con Bergman si va sul sicuro, tra i suoi film se ne può vedere uno qualunquemente.

Lorenzo Lamperti

giovedì 10 febbraio 2011

La crescita dei cinema in Italia: giù il pubblico, su il biglietto

Bastano un poco di euro e la pellicola va giù. Mentre le sale cadono una a una, c'è ancora chi dice che il cinema in Italia sta bene, anzi è in crescita. "Nel 2010, le sale italiane hanno visto una crescita del 15%". Si dà per scontato che l'aumento significhi più pubblico, ma non è proprio così. L'aumento è stato soprattutto di tipo economico. Nel 2010 il cinema ha incassato quasi il 18% in più che nel 2009. Peccato che su questo dato si nasconda un'incidenza fortissima del 3d, che ha costi più alti. Un biglietto per un film in 3d costa mediamente tre euro in più del biglietto per un film normale. Chiaro che nel 2010, anno in cui Avatar ha segnato l'esplosione della tecnologia a tre dimensioni, si sarebbe registrata una crescita. Insomma, sì, gli spetttatori sono in assoluto aumentati, ma di poco: quello che è aumentato tanto è il guadagno sul biglietto singolo. Il problema, però, è che solo i cinema predisposti al 3d, quindi i multiplex, crescono. Gli altri, comprese le sale storiche e d'essai, vivono un declino inesorabile che li sta portando alla chiusura. Risultato? Poche sale, pochi film, tanti soldi (da spendere).
E intanto, quasi sotto silenzio, il governo sta per far passare la tassa di scopo. Si tratta di un'imposta di un euro sul biglietto, finalizzata al finanziamento del cinema italiano. Cosa nobile? Mica tanto. Nel triennio 2008-2010 c'è stato un aumento medio del 15% sul biglietto, non solo per il 3d. In più, i film italiani rappresentano il 65% della quota di mercato. Sulla giostra dell'argent vague nostrana si siedono i vari cinepanettoni, cinecolombe, cineombrelloni, zaloni, albanesi, aldogiovanniegiacomi. Non proprio un momento di crisi. Il tutto nello spregio degli esercenti, che in merito non sono stati  neppure interpellati e che ora minacciano il boicottaggio dei film italiani. Agis e Anec hanno preso le difese degli esercenti, attaccando un sovrapprezzo "estemporaneo e iniquo con ogni inziativa di comunicazione". E intanto il cinema italiano indipendente e di qualità resta invisibile. Anzi, disperso. Si potrebbe andare a protestare dal ministro della Cultura. Come? Ah, già, è da due mesi che non ce l'abbiamo.

mercoledì 9 febbraio 2011

LA CITAZIONE, 9 febbraio 2011

Non è la presenza di Dio che rassicura l'uomo, ma la sua assenza.
(Le Mépris, Jean-Luc Godard)

I Dispersi sono un festival

Invisibili, introvabili. Dispersi. Comincia mercoledì 9 febbraio la prima edizione di Dispersival, la rassegna dei film che non arrivano in sala. La sede dell'evento, che va avanti fino a domenica 13, è il cinema Gnomo, ma l'iniziativa nasce dall'incontro tra la webzine Hideout (www.hideout.it) e l'associazione culturale La Scheggia (www.lascheggia.org). E' nella sala di via Dolomiti che i redattori di Hideout hanno presentato lavori, soprattutto italiani, che non riuscivano a trovare la via del grande pubblico. Il cinema Gnomo offre una giusta opportunità a questi lavori di essere proiettati sul grande schermo, che sarebbe poi la terra madre del cinema, anche se oggi i film si vedono in ogni modo e in ogni luogo. 
Il cartellone è diviso in cinque sezioni. Ci sono i dispersi italiani, quelli internazionali, quelli ritrovati, i documentari e i film per famiglie. Ogni giorno è dedicato a una sezione. L'inaugurazione è prevista per le 18,30 del 9 febbraio, con una tavola rotonda sulle nuove forme e il futuro della distribuzione cinematografica. Poi, dopo un aperitivo, si comincia con Youth in Revolt di Miguel Arteta. Giovedì è il giorno dei film italiani. Alle 22 verrà presentato Sleepless di Maddalena De Panfilis, alla presenza dell'autrice. Venerdì sarà la volta dei documentari, genere in cui i cineasti italiani riescono sempre a offrire qualcosa di interessante. E' certamente il caso di Claudio Casazza e del suo Era la città dei cinema, in programma alle 19,20, opera che verrà proiettata anche domenica 13 febbraio alle 21 presso il Cineforum del Circolo di viale Monza per l'ultimo appuntamento con la rassegna Domenica Bestiale. Da non trascurare neppure Arimo! di Mirko Locatelli, regista milanese fattosi notare al festival di Venezia di due anni fa con il suo L'ultimo giorno d'inverno. Sabato c'è la proiezione di film indipendenti degli ultimi anni mai usciti in sala, tra cui l'ottimo Wristcutters di Goran Dukic. Domenica rush finale con film di animazione per i ragazzi e in chiusura Monkey Boy, horror all'italiana per i più grandi.
Per il programma completo: www.dispersival.it 

lunedì 7 febbraio 2011

LA CITAZIONE, 7 febbraio 2011

Ogni giorno una frase dalla storia del cinema.

"Lei non si sente mai solo?" "Solo in mezzo alla gente".
The Thin Red Line (La sottile linea rossa, Terence Malick)

venerdì 4 febbraio 2011

L'ultimo tango di Maria Schneider

Parigi, 1972. Anteprima di Ultimo tango a Parigi. Dopo soli 10 minuti dall’inizio del film, Jean-Luc Godard si alza ed esce dalla sala. Non vedrà la scena in cui Maria Schneider viene presa per terra da Marlon Brando, con l’aiuto di una spalmata di burro. Forse neppure Maria avrebbe mai voluto rivederla, e magari neanche recitarla. E invece ha visto e rivisto quei frammenti di pellicola che hanno segnato la sua carriera di attrice e forse anche la sua vita.
Maria Schneider con Cristiano Malgioglio
Maria Schneider è morta. Aveva 58 anni, ma nell’immaginario comune era sempre rimasta quella ragazza con i riccioloni e un seno prosperoso. Era rimasta il simbolo della trasgressione e dell’emancipazione sessuale. Dopo il tango diretto da Bernardo Bertolucci e ballato con Marlon Brando, Maria aveva provato a reinventarsi, ma quei fotogrammi le sono sempre rimasti appiccicati addosso. Ha una buona parte in Professione: reporter di Michelangelo Antonioni, al fianco di Jack Nicholson. Poi, praticamente il vuoto. E una vita difficile, costellata da droghe, ricoveri e viaggi mistici nelle riserve indiane. Fallisce lo sbarco a Hollywood, si fa cacciare da Bunuel dopo un solo giorno sul set di Quell’oscuro oggetto del desiderio. Nei Novanta prova a tornare in campo, ha una parte in Jane Eyre di Franco Zeffirelli, poi si limita a comparsate in fiction televisive. Nel 2005 registra un disco con Cristiano Malgioglio.
Oggi, a quasi 40 anni di distanza, Bertolucci le chiede scusa per quella famigerata scena, che la Schneider confessò non essere prevista nella sceneggiatura. “Mi hanno quasi violentata” aveva detto qualche anno fa Maria. Forse era vero, forse no. Di certo c’è che da quel tango Maria non riuscirà a uscire nemmeno adesso.

LA CITAZIONE, 4 febbraio 2011

Ogni giorno una frase dalla storia del cinema


"Il poi è padre del mai"
Partitura incompiuta per pianola meccanica, Nikita Mikhalkov

giovedì 3 febbraio 2011

Biutiful, l'amore dall'alito cattivo

Quando il cinema vuole surrogare il mondo, ridurlo a rappresentazione, allora questo si ribella divincolandosi. Ma quando un brandello di mondo, quasi per caso, finisce impresso sulla pellicola, allora le immagini cominciano ad acquistare una vita quasi autonoma. Smettono di presumere e cominciano a raccontare. Il nuovo film di Inarritu, Biutiful, sta in questo secondo rapporto di grandezza rispetto al precedente Babel. Se il primo si era battuto tanto da sfiorare l’artifizio per costringere l’intera umanità alle regole delle 25 immagini al secondo, Biutiful, lascia che sia la storia singolare di un uomo a parlare dell’universale.
Uxbal (Javier Bardem, strepitoso) è un medium, uno che aiuta i morti a lasciare questo mondo se incatenati alla terra da qualche debito in sospeso. Ma è un mediatore anche in molte altre accezioni. Si occupa di piazzare clandestini cinesi nei cantieri di Barcellona, fa da grossista per i senegalesi che vendono borse false sulla Rambla. Ed è l’interlocutore principale fra i suoi due figli e la moglie che soffre di bipolarismo. Vive di stenti nel più multietnico quartiere di Barcellona, Santa Coloma,e deve mediare anche con se stesso. Nel senso che sa di non essere onesto, di vivere sulla pelle degli altri. Ma quella pelle lui la conosce e la rispetta, al contrario di una società per cui gli emarginati sono invisibili e dannati a priori. Mangia assieme alle famiglie dei senegalesi che butta sulle strade («Sono l’unico che gli dà un lavoro»), conosce i cinesi che sfrutta tanto da pagare una di loro come baby sitter per i suoi bambini. Quando hanno freddo, nel magazzino-prigione in cui sono rinchiusi, compra loro delle stufe a gas. Ma sono stufette economiche e pericolose, che si procura risparmiando sui soldi a lui concessi dal loro datore-aguzzino: per intascarsi la differenza. La tragedia sarà inevitabile. Tragico è l’aggettivo più appropriato per il protagonista di Inarritu. Che è Edipo, Ippolito e Prometeo al contempo. I greci definivano i loro personaggi tragici come né colpevoli, né innocenti. Subivano l’ira del destino senza averne attirato direttamente le cause, ma per il solo fatto di esistere in un determinato contesto, erano macchiati da una colpa atavica, da lavarsi con il sangue. Quando Uxbal viene colpito da un cancro alla prostata che non perdona, capisce lui stesso di essere una vittima di un cinismo più grande. Più grande di quello dietro cui ha mascherato i rapporti con la gente che sfrutta. Comincia allora a pensare a una riparazione, a cancellare i debiti che ha accumulato. Ma la Vita, secondo un’estetica alla Schopenauer, è più forte della volontà umana. Non resta che arrendersi all’inevitabile, al fallimento di ogni possibilità di redenzione. Eppure, oltre la tragedia, Inarritu delinea una flebile speranza. Che non è certezza di un futuro migliore, ma la forza immortale di un sentimento che può cambiare la vita, anche se non materialmente: l’ostinazione dell’amore di Uxbal. Un amore con le mani sporche e l’alito cattivo, certo, nell’orrore del mondo. Ma è la fiamma che continua a brillare nonostante la mancanza stessa di speranza, la mercificazione totale della vita dei deboli, la corsa inarrestabile del destino.
«Biutiful è la storia di un uomo che continua a portare una luce», ha detto Inarritu. Ed è un capolavoro che dovrebbe segnare il passo al buio che, di tanto in tanto, sembra attraversare la produzione italiana.

Gabriele Pieroni
pieroni.gabriele@gmail.com 

mercoledì 2 febbraio 2011

Frankenstein Junior torna al cinema

"Gobba? Quale gobba?". Probabilmente è questa la battuta più celebre dello straordinario Frankenstein Junior che, come anticipato qualche settimana fa, torna nelle sale cinematografiche italiane. Mercoledì 2 febbraio e giovedì 3 febbraio sono una gustosa occasione per godersi sul grande schermo lo stupendo bianco e nero del film di Mel Brooks. Emozionio vintage e divertimento assicurato per chi avrà la fortuna di poter andare nelle sale aderenti all'iniziativa, che a Milano sono l'Arcobaleno, ultimamente molto attivo nel recupero di vecchie pellicole, il Ducale, l'Odeon e gli Uci di Certosa e Bicocca. La visione sarà arricchita dalla rimasterizzazione apportata al film, realizzata qualche mese fa in concomitanza del lancio di Frankenstein Junior in Blu Ray. Per i più giovani e gli sprovveduti, impensabile non andare a vedersi un film che è diventato un intramontabile cult. Lupo ululì, cinema ululà.

martedì 1 febbraio 2011

Il divo in onda su La7

Tra le discussioni su Sanremo e su Belen e la controffensiva Mediaset con format innovativi come Paperissima e La Corrida, un po' di novità nella televisone italiana si vedono su La7. Stasera, mercoledì 2 febbraio, viene presentato in prima tv Il divo, il magnifico film di Paolo Sorrentino. La visione sarà introdotta da Enrico Mentana, a testimonianza di quanto la rete punti su questo film e in generale sul cinema. Una strategia interessante quella di La7, che evidentemente adesso si sente abbastanza forte da puntare in modo deciso sulla settima arte, cosa che fino adesso non era riuscita a fare, perlomeno in prima serata. E invece questo è un segnale forte, anche di presa di distanza da palinsesti omologati e basati su logiche tutto fuorchè qualitative. Il divo è un film straordinario, l'ultimo capolavoro del cinema italiano prima de L'uomo che verrà di Giorgio Diritti, con il quale condivide l'amaro destino di essere escluso dalle nomination agli Oscar dagli stessi giurati italiani, che hanno preferito Gomorra nel 2008 e La prima cosa bella quest'anno. Quello di Sorrentino è un film scomodo, che porta al cinema in modo geniale le vicende di Andreotti, interpretato da un impressionante Toni Servillo, e dell'Italia della Prima Repubblica. Il tutto con una serie impressionante di trovate registiche e stilistiche, senza dimenticare la straordinaria colonna sonora, che sa accostare riferimenti alti ad altri popolari, ma sempre usati in modo originale. Questa sera La7 dimostra di essere grande, comunque vada la miope battaglia di ascolti. Prima e dopo, oltre l'Auditel: stasera La7 ha già vinto.