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martedì 21 dicembre 2010

Esiliato in casa

20 anni senza cinema. La giustizia iraniana condanna non solo il corpo di Jafar Panahi, sei anni di carcere,  ma anche la sua mente. La sentenza è stata consegnata ieri al regista di Teheran, che fino al 2030 non potrà lasciare l'Iran e neppure girare film. In attesa dell'appello, la condanna al carcere è sospesa, ma Panahi è confinato nella sua casa, ridotto senza lavoro e senza libertà. 
L'accusa ai suoi danni è quella di aver girato un film anti-governativo che avrebbe fomentato le masse della protesta verde contro il regime di Ahmadinejad. Panahi, conosciuto al pubblico internazionale per aver vinto il Leone d'oro al Festival di Venezia del 2000 con il film Il cerchio, dovrà così rinunciare all'invito di Berlino, ma soprattutto dovrà rinunciare al cinema: il suo lavoro, la sua passione, la sua vita. In molti vedono l'accanimento contro di lui come un ammonimento generale dell'Iran contro i suoi artisti non allineati. Come spesso accade, è l'arte la prima nemica di chi governa. Il caso di Panahi non fa che confermare il fastidio dei (pre)potenti verso chi è in grado di creare. Più visibile o meno, il bavaglio incombe ovunque.

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