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martedì 11 gennaio 2011

La giusta lettura di Natale in Sudafrica

“Volgari si nasce. La volgarità, nelle arti, la volgarità piacevole, che vi incanta, è inimitabile. È un dono di natura come il genio”. Questa frase di Corrado Alvaro ben si adatta a un film come Natale in Sudafrica. Cinepanettone, film-spazzatura, e tante altre etichette sono state affibbiate nel passato all’uscita natalizia del triumvirato De Laurentiis-Neri Parenti-Christian De Sica. Non ha fatto eccezione l’ultima fatica dei tre artisti, Natale in Sudafrica appunto.
Non stupisce la miopia dei soliti critici che l’hanno nel migliore delle ipotesi trascurato. Altri l’hanno dileggiato, altri diffamato. Ma Natale in Sudafrica è molto più di tette, culi e waka waka. Innanzitutto, il film è un complesso gioco di citazioni e rimandi che non tutti riescono a cogliere. Guardiamo ai nomi di alcuni personaggi: Tagliabue, chiaro riferimento al pittore italiano, Vitellozzo, omaggio al Carlo Monni di Non ci resta che piangere con Benigni e Troisi. Anche il nome del protagonista, Carlo, pare sia una citazione di un film neorealista. Christian De Sica ha detto a Sette: ”Sai, se ti dovessi raccontare drammaturgicamente la storia non saprei cosa dirti perché è sempre la stessa, da ventisette anni”. E questo è un altro dei meriti dell’opera. La ripetizione degli stessi schemi narrativi è funzionale allo studio della psiche dei personaggi. Neri Parenti, in un meccanismo ormai oliato a dovere, è in grado di affastellare uno dopo l’altro grandi temi, nascosti dietro frasi becere e volgari.
Una delle fasi più drammatiche del film
Ed è proprio questa la forza di Natale in Sudafrica. Non impone allo spettatore la sua artisticità, ma la lascia scoprire. Prendiamo come tema la spasmodica ricerca di rapporti sessuali. Il Casanova di Federico Fellini tratta il tema con eccessiva evidenza. La voglia di sesso del Casanova è segno fin troppo evidente del suo desiderio di morte. Il desiderio erotico dei personaggi parentiani sembra a prima vista solamente la voglia di espletamento di un bisogno fisiologico. A una lettura più attenta, si capisce che traccia invece le linee di un pensiero esistenzialista di elevato contenuto filosofico. Non è un mistero che Parenti si ispiri costantemente al lavoro di Jacques Becker, Il rifiuto della morte. Natale in Sudafrica sotterra, nasconde, i suoi riferimenti alti, tra i quali si riescono comunque a riconoscere tracce di Kierkegaard, Hume, Benedetto Croce e Don Lurio. Il film diventa così un prodotto elitario, con vari livelli di lettura. E la grandezza di Natale in Sudafrica è quella di unire la volgarità e il pensiero filosofico alla denuncia sociale. Quando uno dei protagonisti finisce nella monnezza di Napoli si ritrovano tutti quegli elementi di denuncia del degrado della società italiana che rendevano grande il cinema italiano di qualche tempo fa.

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