Il regista tunisino Nouri Bouzid |
“La rivoluzione non deve essere politica. Deve essere prima di tutto culturale”. A dirlo Nouri Bouzid, il decano del cinema tunisino, presente a Milano per il Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina. E il festival non è solo film, ma anche uno spazio per conoscere, confrontarsi, discutere. In particolare modo parlare della situazione di quei paesi in rivolta che stanno infiammando il Maghreb e più in generale il Medio Oriente.
Giovedì 24 marzo alle ore 17 si è svolto allo Spazio Oberdan l’incontro: “Tunisia e le altre. Storie in parole e immagini dai paesi del Mediterraneo in rivolta”. Quello che emerge è un quadro ancora incerto, nebuloso, molto più di quello che appare dai nostri mezzi di informazione che tendono a semplificare e dimenticarsi velocemente degli eventi. In questi giorni di bombe sulla Libia, di Tunisia ed Egitto non ne parla più nessuno. Come se il giorno dopo che Ben Ali e Mubarak sono stati costretti a lasciare il potere la situazione sia chiara o stabile. Ma la realtà è molto diversa, come spiega Nouri Bouzid: “La situazione è molto difficile. C’è una gran fretta di arrivare alla democrazia, ma secondo me la rivoluzione ha avuto un’eiaculazione precoce. Si sono formati tutti questi partiti microscopici che non rappresentano nessuno. E poi si parla di politica, mai di cultura. Ho molta paura che la creatura frutto di una magnifica rivoluzione apolitica muoia prima di nascere”. Più o meno la stessa paura che ha Ahmad Abdalla, regista egiziano autore dell’acclamato Microphone.
C’è anche un rappresentante del cinema algerino, Hicham Elladdaqi, che spiega perché nel suo paese non esploda la rivolta: “Ogni nazione ha una sua storia, non è che se una cosa succede in Egitto o in Tunisia debba per forza accadere anche in Algeria. Anche da noi c’è stata una rivolta. Ed è stata molo violenta, ma negli anni Novanta ancora non c’era Facebook”. In generale, è forte il richiamo al ruolo che il cinema e l’arte in genere deve avere nel processo di costruzione di una nuova società: “Noi registi dobbiamo renderci conto che abbiamo un dovere”, spiega Nouri Bouzid, “non dobbiamo scappare ma raccontare e avere il coraggio di dire se qualcosa non va come dovrebbe. Il cinema africano non può essere solo un esercizio di stile, deve essere qualcosa di più”.
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