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giovedì 3 febbraio 2011

Biutiful, l'amore dall'alito cattivo

Quando il cinema vuole surrogare il mondo, ridurlo a rappresentazione, allora questo si ribella divincolandosi. Ma quando un brandello di mondo, quasi per caso, finisce impresso sulla pellicola, allora le immagini cominciano ad acquistare una vita quasi autonoma. Smettono di presumere e cominciano a raccontare. Il nuovo film di Inarritu, Biutiful, sta in questo secondo rapporto di grandezza rispetto al precedente Babel. Se il primo si era battuto tanto da sfiorare l’artifizio per costringere l’intera umanità alle regole delle 25 immagini al secondo, Biutiful, lascia che sia la storia singolare di un uomo a parlare dell’universale.
Uxbal (Javier Bardem, strepitoso) è un medium, uno che aiuta i morti a lasciare questo mondo se incatenati alla terra da qualche debito in sospeso. Ma è un mediatore anche in molte altre accezioni. Si occupa di piazzare clandestini cinesi nei cantieri di Barcellona, fa da grossista per i senegalesi che vendono borse false sulla Rambla. Ed è l’interlocutore principale fra i suoi due figli e la moglie che soffre di bipolarismo. Vive di stenti nel più multietnico quartiere di Barcellona, Santa Coloma,e deve mediare anche con se stesso. Nel senso che sa di non essere onesto, di vivere sulla pelle degli altri. Ma quella pelle lui la conosce e la rispetta, al contrario di una società per cui gli emarginati sono invisibili e dannati a priori. Mangia assieme alle famiglie dei senegalesi che butta sulle strade («Sono l’unico che gli dà un lavoro»), conosce i cinesi che sfrutta tanto da pagare una di loro come baby sitter per i suoi bambini. Quando hanno freddo, nel magazzino-prigione in cui sono rinchiusi, compra loro delle stufe a gas. Ma sono stufette economiche e pericolose, che si procura risparmiando sui soldi a lui concessi dal loro datore-aguzzino: per intascarsi la differenza. La tragedia sarà inevitabile. Tragico è l’aggettivo più appropriato per il protagonista di Inarritu. Che è Edipo, Ippolito e Prometeo al contempo. I greci definivano i loro personaggi tragici come né colpevoli, né innocenti. Subivano l’ira del destino senza averne attirato direttamente le cause, ma per il solo fatto di esistere in un determinato contesto, erano macchiati da una colpa atavica, da lavarsi con il sangue. Quando Uxbal viene colpito da un cancro alla prostata che non perdona, capisce lui stesso di essere una vittima di un cinismo più grande. Più grande di quello dietro cui ha mascherato i rapporti con la gente che sfrutta. Comincia allora a pensare a una riparazione, a cancellare i debiti che ha accumulato. Ma la Vita, secondo un’estetica alla Schopenauer, è più forte della volontà umana. Non resta che arrendersi all’inevitabile, al fallimento di ogni possibilità di redenzione. Eppure, oltre la tragedia, Inarritu delinea una flebile speranza. Che non è certezza di un futuro migliore, ma la forza immortale di un sentimento che può cambiare la vita, anche se non materialmente: l’ostinazione dell’amore di Uxbal. Un amore con le mani sporche e l’alito cattivo, certo, nell’orrore del mondo. Ma è la fiamma che continua a brillare nonostante la mancanza stessa di speranza, la mercificazione totale della vita dei deboli, la corsa inarrestabile del destino.
«Biutiful è la storia di un uomo che continua a portare una luce», ha detto Inarritu. Ed è un capolavoro che dovrebbe segnare il passo al buio che, di tanto in tanto, sembra attraversare la produzione italiana.

Gabriele Pieroni
pieroni.gabriele@gmail.com 

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