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mercoledì 22 giugno 2011

I 13 assassini di Takeshi Miike

 

La trama? Bisogna uccidere in (quasi) gran segreto Naritsugu, il cattivissimo fratello dello shogun. Ma il film non è solo questo, ricco di vita nonostante parli di morte. A metà tra la forma di Barry Lyndon e la sostanza de I sette samurai. O forse un mix tra la forma di El Mariachi e la sostanza di Django? Tutte queste anime convivono nel bel 13 assassini di Takeshi Miike.
Se nel capolavoro di Akira Kurosawa i samurai erano sei, più uno spiantato e umanissimo Toshiro Mifune, e inizialmente si muovevano per vile denaro, qui i difensori del bene assoluto sono il doppio. Dodici, più un brigante di montagna, figura senza contorno e in odore di divinità, che un po’ ricorda lo scimmiotto Sun Wukong (in giapponese Son Goku) dell’antico romanzo cinese di ispirazione taoista Viaggio in Occidente. L’omaggio al maestro Kurosawa ha comunque il merito di limitarsi a una citazione che non scade nel manierismo. La differenza, però, tra l’umano realismo dei sette e il mitico eroismo dei tredici si sente tutta.
Di squartamenti se ne vedono parecchi. Ma tra la prima scena, un harakiri pulitissimo, e l’ultima, sporca di sangue e fango, corre tutto un mondo. Quello giapponese del rispetto totale nei confronti del capo, delle sue scelte e dei suoi ordini. Anche il cattivo più subdolo, quell’Hanbei nemico dell’eroe Shinzaemon, non fa altro che applicare il codice del samurai tanto quanto il suo avversario: obbedienza nei confronti del signore. Che, purtroppo per lui, è una vera carogna. E, in fondo, Miike nella scena finale ci dice proprio che male assoluto e bene assoluto non esistono.
Il film è insomma scisso in due parti. Una prima, nella quale forma e sostanza coincidono, creando un connubio tra la grande filosofia della vita giapponese e la cura maniacale dei dettagli di Kubrick. Luci e fotografia molto curate, con scene in cui i volti degli attori sono illuminati solo da candele e lanterne. Nella seconda parte, invece, il film cambia faccia, ammiccando un po’ alla vena splatter del regista. Con scene di battaglia molto lunghe, ma che non cedono del tutto alla linea Rodriguez-Tarantino e piuttosto ricordano la bellezza dei grandi manga nipponici (Vagabond su tutti).
Chi conosce il mondo giapponese potrà apprezzare il film. Chi non lo conosce potrà goderselo. Forse un po’ di meno, forse un po’ di più.

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