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lunedì 6 giugno 2011

The Tree of Life, Malick e Dio

Un film divino. The Tree of Life di Terrence Malick è insieme summa e superamento del cinema del grande regista di Badlands (La rabbia giovane), Days of Heaven (I giorni del cielo), La sottile linea rossa e The New World. Quinto film in 40 anni di carriera, The Tree of Life è il logico risultato del cinema di Malick, unico e incommensurabile, nelle dimensioni come nelle intenzioni. Se nei precedenti film Dio era nella Natura, qui Dio è la Natura. All’inizio del film la voce fuori campo di Jessica Chastain spiega che si può vivere seguendo le leggi della natura o quelle della grazia. L’uomo fortunato segue la via della Natura, ovvero quella di Dio, inteso come scintilla che dona linfa vitale alle cose. E agli uomini. Perché Dio, per Malick, sta nella nascita dell’universo come in quella di un bambino. Un Dio che non è un’entità astratta e osservatrice, ma è un’azione, un respiro, una luce. La strada della Natura è la più difficile, piena di dubbi e paure. Jessica Chastain non comprende un Dio che gli toglie un figlio. Brad Pitt, invece, vive secondo la grazia. Le sue regole ferree e l’ambizione che ha prima per sé e poi per i suoi figli non lascia spazio a dubbi. Ma lentamente lo divora. E divora il figlio, uno Sean Penn che arriva ma al prezzo di perdere qualcosa di più profondo.
Malick incastona la fragilità del sogno americano per eccellenza in una riflessione esistenziale come raramente se ne erano viste al cinema. I tempi della messa in scena sono ancora più ellittici che altrove. Si procede a versi, quasi come il film fosse una poesia e Malick conduce per mano da una scena all’altra con inquadrature piene di amore e sentimento. La consueta voce fuori campo malickiana accompagna la visione, come sempre offrendo dubbi e domande, più che risposte. Ma The Tree of Life va oltre, Malick osa rappresentare l’irrapresentabile: la genesi del mondo. Osa rappresentare Dio. E lo fa con una lunga sequenza in cui si vede di tutto, che qualcuno ha non a torto paragonato a quella finale di 2001: Odissea nello spazio. E poi con un finale onirico, che ricorda da vicino l’epilogo di una celebre serie tv americana. Due sequenze che rappresentano l’universale, oltre che evocarlo. Una scelta pericolosa, che solo uno come Malick poteva affrontare.

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