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martedì 24 maggio 2011

Festival Mix, il cinema gay e lesbo a Milano

Diverso è bello. Il festival Mix di Milano ci crede dal 1986, anno della prima edizione della rassegna cinematografica di film gay e lesbo. Parte mercoledì 25 maggio la 25esima edizione di un appuntamento che si è fatto via via più importante nel corso degli anni. A organizzarlo è sempre il Comitato Provinciale Arcigay di Milano, con l'obiettivo di dare spazio a film a tematica lesbica, gay e trans gender. Insomma, il cinema che non ha paura di fare outing.
Per sette giorni il Teatro Strehler di largo Greppi diventa il centro della cinematografia gay e lesbica indipendente. Fino a martedì 31 maggio, infatti, il programma è fitto. Gli organizzatori si aspettano circa 30mila presenze, considerando proiezioni, incontri con gli autori, concerti e appuntamenti letterari. Soprattutto, Mix vuole far capire agli spettatori che il cinema gay e lesbo non è solo un'etichetta. Non è, come pensano in molti, solo porno. E' soprattutto un cinema indipendente e coraggioso. Nel 2010 l'apertura era stata affidata a Howl - Urlo, il documentario di Rob Epstein e Jeffrey Friedman con James Franco nei panni del poeta Allen Ginsbgerg. Questa volta tocca a Xavier Dolan con il suo Les Amours Imaginaires, la storia di un crudele triangolo sentimentale. I film sono divisi in tre sezioni competitive: lungometraggi, cortometraggi e documentari. Tra i lunghi c'è molta attesa per Homme au Bain di Cristophe Honoré, un film che ha fatto scandalo in qualche rassegna tra Francia e Italia e che vede come protagonisti il porno-divo François Sagat e Chiara Mastroianni.
Non mancano gli eventi collaterali, a partire da "Uncut", una serie di incontri a cura di Tatti Sanguineti e Marco Kassir per riflettere su censura e libertà di espressione. In programma tre capolavori del passato accusati del reato tutto italiano di vilipendio alla religione: La ricotta di Pier Paolo Pasolini, L'indiscreto fascino del peccato di Pedro Almòdovar e Je vous salue, Marie di Jean-Luc Godard.  E poi una lettura aperta delle opere di Pier Vittorio Tondelli, in occasione del ventennale della morte dello scrittore emiliano.  Le ospiti speciali saranno Franca Valeri, premiata sabato 28 maggio come Queen of Comedy 2011, e Ivana Spagna, incoronata Queen of Music domenica 29 maggio. 

Lorenzo Lamperti

L'Iran difende il "nazista" Von Trier

(pubblicato su www.lasestina.unimi.it).  

Cannes ha dimostrato di essere fascista», firmato Javad Shamaqdari, vice ministro della Cultura dell’Iran. Teheran prende le difese del regista danese Lars Von Trier, espulso qualche giorno fa dal festival di Cannes per le sue dichiarazioni sugli ebrei, Israele e Hitler. Una decisione che secondo Shamaqdari lascerà «una macchia nella storia del festival».
D’altra parte, l’Iran non ha mai riconosciuto il diritto all’esistenza di Israele e in passato il presidente Mahmud Ahmadinejad ha più volte definito l’Olocausto solo un mito. Von Trier, che a Cannes era in concorso con l’apocalittico Melancholia, aveva detto di essere orgoglioso delle sue origini tedesche e naziste, di capire Hitler e aveva definito Israele con un epiteto poco elegante, traducibile in “una rottura”. Logico quindi che le frasi di Von Trier, malato di depressione cronica oltre che regista, trovassero simpatizzanti in Iran. Meno prevedibile il fatto che un esponente del governo iraniano scrivesse una lettera indirizzata al presidente del più importante festival di cinema a livello mondiale, Gilles Jacob, per difendere Von Trier e attaccare Cannes. Nella lettera di Shamaqdari ci sono riferimenti «al trattamento di Galileo dalla parte della Chiesa medievale». Come a dire, «voi occidentali non trattate i vostri artisti meglio di quanto non facciamo noi».
Probabile che a determinare una presa di posizione così forte dell’Iran sull’evento ci siano due fattori diversi: cogliere l’occasione per attaccare Israele e rispondere a quelle che il governo di Ahmadinejad considera delle provocazioni fatte dal festival di Cannes. Sulla Croisette, infatti, è arrivato clandestinamente un film di Jafar Panahi, il regista condannato agli arresti domiciliari a Teheran e a cui è stato proibito di girare film per 20 anni. Panahi, accusato di istigazione alla rivolta, è stato al centro di molti appelli e tavole rotonde a Cannes. Dalle lacrime di Juliette Binoche nel 2010 alla sedia vuota nella giuria, Cannes ha sempre espresso solidarietà verso l’artista inviso al governo iraniano. Senza considerare che quest’anno in Costa Azzurra è arrivato anche un altro film che non va a genio ad Ahmadinejad, Au Revoir di Mohammed Rasoulof. Di sicuro Von Trier, abituato alle provocazioni, stavolta ha alzato un bel polverone. Il suo nuovo film Melancholia, valso la Palma d’oro a Kirsten Dunst come miglior attrice, vivrà nell’ombra delle sue frasi. E di quelle degli altri.

Lorenzo Lamperti

lunedì 23 maggio 2011

Cannes 2011, i vincitori

Bill Pohlad riceve
la Palma d'oro per The Tree of Life
Ha vinto Terrence Malick. Un esito non proprio imprevedibile quello del festival di Cannes edizione 2011. Malick era il grande favorito della vigilia e il pronostico è stato rispettato. "Concorrere a un festival di cinema con Terrence Malick è come giocare una partita di calcio contro Maradona", aveva detto Paolo Sorrentino. The Tree of Life, un film dalla portata forse anche fin troppo immensa, trionfa, azzerando i fischi che parte della critica gli aveva riservato alla proiezione per la stampa.
Malick, presente alla proiezione per il pubblico in incognito, ha mantenuto fede al suo personaggio e non è andato a ritirare la Palma d'oro. A sostituirlo il produttore Bill Pohlad, che ha ricvevuto l'ambito premio dalle mani di Robert De Niro, perfettamente a suo agio come maestro di cerimonie. La sua giuria si è destreggiata da una selezione livellata verso l'alto, soprattutto se confrontata con il 2010, anno in cui Tim Burton fu costretto a premiare Apichatpong Weerasethakul. Il Gran Premio della Giuria, in passato andato a gente del calibro di Kusturica, Tarkovskij e Pasolini finisce ex aequo ai fratelli Dardenne per Il ragazzo con la bicicletta e al turco Nuri Ceylan per Once upon a time in Anatolya
Kirsten Dunst mostra la Palma d'oro
Nanni Moretti e Sorrentino a bocca asciutta, dunque. Eppure, i loro attori protagonisti nutrivano speranze per il premio come migliore attore: il papa in fuga di Michel Piccoli e il rocker fallito di Sean Penn sono stati invece battuti dal Jean Dujardin di The Artist, il film rivelazione, muto e in bianco e nero. Tra le attrici, la favorita Tilda Swinton viene battuta da Kirsten Dunst, che riesce a non farsi penalizzare dai deliri di Lars von Trier, suo regista in Melancholia. Anzi, forse la palma alla Dunst permette alla giuria di sbandierare la propria indipendenza di giudizio.

venerdì 20 maggio 2011

A Cannes la "conquista" di Sarkozy

Dall’Eliseo alla Croisette, ecco la conquista di Sarkozy. Il festival di Cannes presenta il film di Xavier Durringer, La conquête appunto, che racconta l’ascesa al potere di Monsieur Le Président. Lo slogan di lancio dell’opera recita: “La storia di un uomo che ottiene il potere e perde la moglie”. Xavier Durringer ha puntato molto sul rapporto di Sarkozy con l’ex consorte Cécilia, drammatizzando i passaggi della vittoria elettorale e del contemporaneo addio della moglie.
Niente Carla Bruni, quindi, visto che il film è concentrato sul periodo precedente all’unione di Sarkozy con l’ex modella e cantante italiana. La conquête ha scatenato aspettative, da parte di chi non ama Sarkozy, e polemiche, da parte di chi lo ama. A partire dallo stesso Sarkozy, che ha dichiarato che non andrà mai a vedere il film al cinema. Ma Durringer può consolarsi con i soldi del biglietto che verrà staccato alla moglie del presidente. Carlà, infatti, ha detto di essere preoccupata per il contenuto del film ma anche che è curiosa di vederlo. Durringer si affida a una squadra di attori sosia, a partire da Denis Podalydès nei panni di Sarkozy e Florence Pernel in quelli di Cécilia.
Ma l’evento ha perso un po’ di importanza in Francia, dopo l’arresto di Dominique Strauss-Kahn, che per le modalità e gli intrighi che potrebbero esserci dietro sembra uscito da una sceneggiatura hollywoodiana.

Lorenzo Lamperti

giovedì 19 maggio 2011

Von Trier cacciato da Cannes

"Lars von Trier è persona non gradita". Così il festival di Cannes liquida il regista danese, resosi protagonista di una performance quantomeno discutibile nella conferenza stampa di presentazione al suo film presente in concorso, Melancholia, dramma apocalittico con Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg. Von Trier, non nuovo a sparate clamorose, aveva detto di essere felice delle sue origini tedesche, e naziste.
«Per lungo tempo ho pensato di essere ebreo ed ero felice di esserlo. Poi ho conosciuto Susanne Bier (regista danese ebrea e premio Oscar con In un mondo migliore, ndr) e non ero così contento. Ma dopo ho scoperto che in realtà ero un nazista. La mia famiglia era tedesca. E questo mi fa anche piacere. Cosa posso dire? Capisco Hitler, simpatizzo un po' con lui. invoco la soluzione finale per i giornalisti, non sono contro gli ebrei, ma in realtà non troppo perché Israele è un problema, come un dito nel culo, fa cagare» aveva dichiarato Von Trier. «Adesso come esco da questa frase? Ok, sono un nazista», aveva concluso Von Trier. Ora arriva l'espulsione ufficiale dal festival, nonostante le scuse di Von Trier arrivate nella serata del 18 maggio. Un provvedimento estremo ma condivisibile, quello degli organizzatori della manifestazione. Frasi del genere non possono essere tollerate, anche perché il cinema non può diventare grancassa di certi messaggi e certi personaggi, tra l'altro cinematograficamente sopravvalutati. Qualcuno dice: "Ma sì, è un artista, è una provocazione". Ma forse c'è un limite oltre il quale non si dovrebbe andare, anche per un regista che per tutta la carriera ha usato il suo innegabile talento visivo al servizio della sua personale megalomania, come dimostra il progetto Dogma '95, nel quale von Trier dettava leggi per girare film che lui stesso poi non ha mai rispettato. E se qualche volta è riuscito a essere originale sullo schermo, stavolta è riuscito solo a essere uno stupido.   

Lorenzo Lamperti

This is not a Film, Panahi arriva a Cannes

This is not a film. Questo non è un film. Jafar Panahi oltrepassa i muri di quel carcere che è diventata la sua casa e arriva fino a Cannes. Il festival accoglie il lavoro del regista iraniano, ed è proprio un film. Un documentario che mostra Panahi all'interno della sua personale prigione domestica, mentre legge, discute di cinema o racconta la storia che sarebbe dovuta essere il suo nuovo film, se il regime iraniano non lo avesse condannato per istigazione alla rivolta. 
This is not a Film arriva sulla Croisette con varie peripezie, in maniera del tutto clandestina, grazie a una chiavetta usb. Panahi legge e recita la sua sceneggiatura, visto che non può girarla. A un anno di distanza dalle lacrime di Juliette Binoche, Cannes porta sullo schermo il nuovo vagito di disperata libertà di un regista e di un uomo mutilato in quello che aveva di più caro, il cinema. Dopo due mesi di carcere, Panahi sta scontando la pena ai domiciliari in attesa di una sentenza definitiva. Il primo grado gli ha proibito di girare film per 20 anni. I tempi sembrano e saranno lunghi, e nel frattempo Panahi prova comunque a far sentire la sua voce. 
E non è un segnale isolato. A Cannes dovrebbe arrivare anche Mohammed Rasoulof, un altro regista malvisto dal potere Iran. Il film di Rasoulof, Au revoir, è stato portato clandestinamente a Cannes, prima ancora di ottenere l'autorizzazione dal governo iraniano, arrivato mercoledì 18 maggio. Ora si aspetta l'arrivo del regista, per quello di Panahi bisognerà invece ancora aspettare. Lui resta solo sullo schermo. E sarà pure su quelli italiani, vista la voracità con cui Cinecittà Luce si è accaparrata la distribuzione di This is not a Film.

mercoledì 18 maggio 2011

Brasil cinema contemporaneo

E' tempo di samba. Da martedì 17 a domenica 22 maggio il cinema Gnomo di Milano ospita la sesta rassegna sul cinema contemporaneo brasiliano, curata dall'Ibrit (Istituto Brasile Italia). Una manifestazione che si prefigge di far conoscere al pubblico milanese, e non, la cinematografia brasiliana, approfondendo il discorso e i contenuti del Festival del cinema africano, d'Asia e America Latina che per evidenti motivi di varietà di temi e paesi non riesce a focalizzarsi sulla produzione di una singola nazione.
Tutti i film vengono presentati in lingua originale con sottotitoli in italiano, offrendo anche l'opportunità di avvicinarsi al Brasile non solo sul piano cinematografico ma anche linguistico e culturale. Quest'anno sono stati selezionati otto lungometraggi presentati nei festival o nelle sale brasiliane negli ultimi anni.
Nel programma della rassegna, opere di registi affermati come Laís Bodanzky (As melhores coisas do mundo, sull’universo degli adolescenti di São Paulo), Eliane Caffè (O sol do meio dia, ultimo della sua trilogia sul Brasile rurale), Flavio Tambellini (Malu de bicicleta, basato su un romanzo di Marcelo Rubens Paiva). Ma non mancano i giovani, a partire dalla sessione di cortometraggi di Marcelo Laffite. I film in programma danno l'opportunità di parlare dei temi più caldi del Brasile contemporaneo come la politica sulle droghe, discussa nel documentario Cortina de Fumaça del carioca Rodrigo MacNiven. Ma c'è spazio anche per la leggerezza con il film Brasil animado, film per la famiglia che mescola immagini reali e animazione con due personaggi, Relax e Stress, che viaggiano per tutto il Brasile alla ricerca dell’albero più antico del Paese, il Grande Jequitibá Rosa.


Cannes, pensieri in una notte di mezzo festival

Cannes è al giro di boa e ora si aspetta il rush finale. Sembra utile fare un breve riassunto delle prime puntate. Fino adesso il festival ha vissuto sui grandi nomi, dopo l'interlocutorio 2010. Woody Allen, Nanni Moretti, i fratelli Dardenne, Terrence Malick e Aki Kaurismaki. Per il concorso è ancora difficile fare pronostici, anche perché mancano ancora da vedere alcuni pezzi grossi come Sorrentino, Almòdovar e Lars von Trier. Habemus Papam  è stato accolto molto bene dalla critica, tanto che qualcuno in Francia ha scritto "Habemus Palmam". Nanni, che a Cannes è di casa, si è persino commosso in sala durante l'applauso del pubblico versando qualche lacrima.
Il grande favorito della vigilia, Terrence Malick, ha invece incassato qualche applauso e molti fischi alla proiezione per la stampa, riscattandosi poi alla proiezione del pubblico. Cosa che non fa molto testo, come sa chi frequenta i festival succede sempre che alla proiezione per il pubblico siano presenti registi e attori in sala, e gli spettatori amano compiacerli con applausi anche durante la proiezione. Non che facciano molto testo neppure gli eventuali applausi o fischi della critica, visto che poi il minutaggio dell'una o dell'altra reazione viene spesso esagerata dai mezzi di informazione. Sfido qualunque spettatore, anche non festivaliero, anche solo immaginare a 15, 20 minuti di applausi a un film come qualcuno ha detto in passato.
Comunque, è un fatto che The Tree of Life di Malick non ha sfondato. Malick, al quinto film in 40 anni di riservata carriera, non si è presentato davanti a taccuini e telecamere ma pare fosse comunque presente in sala durante la proiezione del suo film. Dato che la sua ultima foto è del 1998, nessuno l'ha riconosciuto. Probabilmente non ha nemmeno avuto bisogno di mascherarsi come fa invece di solito Vincent Gallo, che lo scorso anno a Venezia girava incappucciato o camuffato per sfuggire alla folla e ai giornalisti.
Non sembra aver convinto nemmeno Il ragazzo in bicicletta, il nuovo lavoro dei fratelli Dardenne in passato trionfatori a Cannes. Il ruolo di superfavorito alla Palma è ora vacante, pronto a essere occupato da Moretti, spera l'Italia, o uno degli autori rimasti. L'unica vera novità vista finora sulla Croisette è The Artist di Michel Hazanavicius, un film in bianco e nero e, udite udite, muto. Ebbene sì, nell'epoca del pervasismo sonoro e visivo, The Artist prova a recuperare il senso profondo e originario delle immagini in movimento.
E Cannes è anche e soprattutto glamour. Ma questo ça va sans dire.

Lorenzo Lamperti

lunedì 16 maggio 2011

Tutto Tarkovskij allo Spazio Oberdan

L'immagine dell'assoluto. Così si chiama la rassegna che lo Spazio Oberdan di Milano dedica al cinema di Andrej Tarkovskij, uno dei più grandi registi russi di sempre. Un cinema difficile, non per tutti i gusti, fatto di estetica, lunghi piani sequenza, alternanza tra i bianchi e nero e il colore. Spesso straordinario, talvolta manieristico. Sempre immaginistico, comunque originale. Si potrebbe dire unico.
Tarkovskij non poteva essere che un regista cinematografico. Un talento visivo pazzesco, come dimostrano anche le sue polaroid in mostra sempre all'Oberdan fino al 12 giugno. Un talento che è impossibile non notare già ne Il rullo compressore e il violino, mediometraggio d'esordio che Tarkovskij realizzò per diplomarsi all'Istituto di cinematografia dell'Urss. Martedì 17 maggio alle 20,30 la rassegna prende ufficialmente il via con un evento speciale: la proiezione de L'infanzia di Ivan, con cui Tarkovskij vinse il Leone d'oro a Venezia. Presente in sala, Andrej Andreevic, suo figlio, che vive da molti anni in Italia, a Firenze. Figlio di Andrej e nipote di Arsenij, grande poeta del secolo scorso.
Fino al 9 giugno sarà possibile assistere a tutti i film di Tarkovskij, che non sono poi molti, ma tutti molto densi. A partire da Andrej Rublev, un bianco e nero entrato nella leggenda del cinema, per proseguire con Solaris, ovvero la fantascienza arrugginita, vecchia, replicata. Da vedere Lo specchio, il film più onirico di Tarkovskij, e Stalker, un viaggio indimenticabile tra fede e vita in un atmosfera postatomica dove la natura è morta e la wilderness è radioattiva, in anticipo sulla Road di Cormac McCarthy e John Hillcoat. Per cinefili veri, insomma per chi non ha paura di rompersi le palle, Nostalghia, girato in Toscana. Immane il suo ultimo film, Sacrificio, girato in Svezia e immerso nei paesaggi bergmaniani. Tarkovskij era già in esilio e stava per morire di lì a pochi mesi, lasciando pochi film ma tante suggestioni e tanti significati, alcuni ancora nascosti. Quello che non ha potuto lasciarci è la versione cinematografica de L'idiota di Dostoevskij, opera dalla quale era ossessionato e di cui ha riempito i suoi diari.
Le sue immagini, quelle no, non poteva riempirle meglio.


giovedì 12 maggio 2011

Cannes, Woody Allen e Bertolucci nel giorno di apertura

Ogni anno in questi giorni gli appassionati di cinema si dividono in due categorie. Ci sono quelli fortunati e quelli sfortunati. I fortunati si trovano a Cannes e stanno vivendo il festival del cinema più conosciuto e importante del mondo. Gli sfortunati si trovano a casa, e vorrebbero essere a Cannes.
La netta divisione si acuisce per un’edizione come quella del 2011, ricca di autori e suggestioni come non accadeva da almeno un paio d’anni. L’apertura, mercoledì 11 maggio, è stata affidata a un autore amatissimo in tutta Europa, Woody Allen, che ha finalmente alzato il velo sul suo Midnight in Paris. Bel film o cartolina di Parigi? Chi l’ha già visto potrà essersi fatto già un’idea. Di certo sul tappeto rosso della Croisette non sono arrivate né Marion Cotillard e né, soprattutto, Carla Bruni. Della Cotillard si sa che è incinta e la stessa cosa si vocifera delle prèmiere dame, che nel film di Allen ha un piccolo ruolo che verrà certamente esaminato con il microscopio. Tra l’altro, il buon Woody ha annunciato il titolo del suo prossimo film che girerà in estate a Roma: non più The Wrong Picture ma Bop Decameron, rilettura di alcune delle novelle boccaccesche. Tra i protagonisti, notizia di qualche giorno fa, ci sarà nientemeno che Roberto Benigni. E sinceramente, vedere Benigni e Allen insieme sarebbe straordinario. Intanto si sa che il film sarà recitato metà in inglese e metà in italiano: “Roma è la città più romantica del mondo”, ha detto Allen, ormai diventato cantore del Vecchio Mondo.
Ma l’11 maggio è stato anche il giorno di Bernardo Bertolucci, che ha ricevuto la Palma d’oro alla carriera dalle mani di Robert De Niro, presidente della giuria e suo attore in Novecento al fianco di Gérard Depardieu. Il primo assaggio di Italia a Cannes, in attesa di Nanni Moretti e Paolo Sorrentino, entrambi in concorso.
Intanto partono a pieno regime il marchée e il glamour, in quel binomio che ha reso Cannes vincente. Anche perché, diciamocelo, Venezia non è che ultimamente sia un avversario così agguerrito. E così Cannes, tra vecchie glorie e pochi giovani, tanta classe e poco coraggio, resta il sogno dei cinefili di tutto il mondo.

Docucity, rassegna di cinema documentario

Docucity è una rassegna che sta diventando sempre più interessante. Quest’anni si svolge da mercoledì 11 a venerdì 13 maggio al polo di mediazione interculturale e comunicazione dell’Università degli Studi di Milano (Piazza Montanelli 1, MM1 Sesto Marelli). Per tre pomeriggi e una serata l’Università ospita proiezioni gratuite aperte al pubblico.
Rassegna e concorso si articolano intorno al tema della “polis contemporanea”. I pomeriggi saranno dedicati alla proiezione dei documentari finalisti della seconda edizione del Concorso. Insomma, il meglio dei 74 film arrivati alla giuria, presieduta dal regista Maurizio Nichetti, che ha selezionato 13 lavori, realizzati sia da esordienti sia da professionisti. Il punto in comune è un racconto originale della propria città. Tutti e tre i giorni, tra le 14 e le 19, verranno proiettati i film. Particolare interesse per Era la città dei cinema di Claudio Casazza, bel viaggio tra il passato e il presente delle sale cinematografiche milanesi di cui si è già parlato in questo blog. Il film di Casazza verrà proiettato venerdì 13 maggio alle 14, prima della serata finale alle 21 presso lo Spazi M.I.L. di via Granelli 1 a Sesto San Giovanni, quando verrà premiato il film vincitore.

sabato 7 maggio 2011

Il primo incarico, Isabella Ragonese al cinema Mexico

Sabato 7 maggio alle ore 20 il cinema Mexico di via Savona presenta Il primo incarico. E lo fa con una proiezione speciale, alla quale partecipano la regista Giorgia Cecere e Isabella Ragonese, protagonista del film. Di seguito pubblichiamo la recensione del film a cura di Raffaele Serinelli pubblicata sul sito http://www.icine.it/.

L’anno è il 1953; il luogo è uno sperduto paesino pugliese; la protagonista una giovane maestra pronta ad assumere il suo primo incarico. La bellezza (o meno, a seconda dei punti di vista) di girare in luoghi così contraddittori come il territorio pugliese, risiede nel vantaggio di poter utilizzare scenografie naturali, con pochi ritocchi, per poter dare la reale sensazione di ritrovarsi indietro nel tempo.
Nena è una giovane donna pronta ad affrontare il suo primo incarico da maestra di scuola. Ma l’attesa chiamata arriva da un luogo tanto ostile quanto arcaico, legato a tradizioni secolari, che poco hanno a che spartire con le abitudini della ragazza. Nena è innamorata di un ragazzo borghese, causa principale del suo malessere lontana da casa. L’oppressione di una madre troppo presente, la voglia di mettersi in discussione nonostante le avversità di una vita lontana dal proprio quotidiano, spingono la ragazza a resistere accantonando le difficoltà, conducendola a ripensare la propria vita in modo sorprendente.
Il primo incarico, film che segna l’esordio alla regia di Giorgia Cecere è un esperimento sensibile (forse troppo), rivolto principalmente allo sguardo femminile. Di registe donne, fortunatamente, gli esempi si sprecano, ma rivedere gli anni 50 nell’arcaica Puglia del sud di quel periodo, come fonte per trarne una storia di coraggio ed emancipazione femminile, non è opera semplice. Giorgia, cresciuta nell’ultimo paesino del Capo di Leuca, afferma di aver respirato la libertà guardando i film dei CowBoy, affascinata dalla grandezza del mondo e dalla meraviglia che si può creare nonostante un panorama arido e apparentemente desertico. Nonostante le apparenze, Il Primo Incarico segna , oltre che l’esordio cinematografico, anche un mirato lavoro sulla figura della donna degli anni 50 del sud Italia. Nel suo piccolo Nena ( Isabella Ragonese), senza strafare con atteggiamenti da eroina, appare semplicemente padrona della sua vita e delle sua decisioni; Cosa da poco, oggi, ma non negli anni raccontati da un’attenta osservatrice. Certo, gli uomini della Cecere non escono rinforzati nel loro ruolo di pardi padroni, anzi, il ragazzo di cui si innamora la giovane maestra è un nobile privo di potere decisionale, mentre l’uomo che si trova costretta a sposare (per fortuite circostanze) è solo un ragazzotto rozzo con pochissime attitudini alla sensibilità. Eppure, ciò che traspare dal personaggio di Nena è una simbolo di emancipazione, che non si estrinseca in inflazionati luoghi comuni, ma che trae dalla normalità di scelte difficili e ponderate, il proprio punto di forza. Probabilmente tutto ciò potrebbe apparire poco, soprattutto se paragonato ai ritmi frenetici che le pellicole Hollywoodiane ci impongono, ma a volte, fermarsi a riflettere , con un profondo respiro, analizzando situazioni passate, ma pur sempre fondanti della nostra cultura, potrebbe solo giovare al nostro spirito di osservazione. Sicuramente un film per chi sa guardare oltre l’aridità del paesaggio, anche se, non è un mistero, molto più vicino ad una sensibilità spiccatamente femminile.

venerdì 6 maggio 2011

MIFF, Il festival del cinema indipendente


Indipendente. È questa l’etichetta che piace tanto agli organizzatori del MIFF (Milano Internation Film Festival), che nel corso degli anni è diventato un ibrido tra un festival e una semplice cerimonia di premiazione. Non a caso la nuova corretta dicitura dell’evento è MIFF Awards. Fatto sta che dal 3 al 14 maggio quello che vorrebbe essere il Sundance italiano occuperà le serate dei cinefili milanesi.
Luogo delle proiezioni sarà per l’edizione 2011 il cinema Gnomo, segno di uno spostamento dal privato al pubblico della manifestazione guidata da Andrea Galante. Ma il pubblico cosa potrà vedere? Soprattutto cortometraggi, e poi i film vincitori delle varie sezioni: regia, sceneggiatura, montaggio, attore protagonista, attrice protagonista. I film candidati non sono aperte al pubblico e mantengono lo status di anteprima. Insomma, a parte i giurati si possono vedere solo i film che vincono qualcosa.
Almeno i nomi dei candidati volete saperli? C’è Essential Killing con Vincent Gallo, già allo scorso festival di Venezia, Venere nera di Abdellatif Kechiche che sempre dal Lido arriva per aprire la rassegna, The First Grader di Justin Chadwick e tante altre opere di registi indipendenti e pronti per essere lanciati, valorizzati. Ah, c’è anche Kirsten Stewart, la Bella di Twilight, che fa la spogliarellista in Welcome to the Rileys. Probabilmente qualcuno si augurerà di poter vedere qualcosa in più.
Per informazioni e programma delle proiezioni: www.miff.it

giovedì 5 maggio 2011

Kill Bin Laden, che farà Kathryn Bigelow?


Osama Bin Laden morto non lo vedremo mai. Il Presidente degli Stati Uniti ha deciso che le foto del blitz in Pakistan rimarranno in uno dei cassetti della Casa Bianca. Ma Bin Laden morto forse lo vedremo al cinema. Anche se forse chi ce lo mostrerà la sera del primo maggio non era a Ground Zero a festeggiare. Eh sì, perché Kathryn Bigelow era in procinto di girare un film sulle missioni che non avevano portato ad alcun risultato. Osama l’aveva sempre scampata e così doveva fare anche sul grande schermo.
Ora che la realtà, si può dire la storia, è cambiata, deve cambiare anche la finzione, si può dire la trama. Kill Bin Laden: questo il titolo del nuovo film della prima donna premio Oscar della storia del cinema. Nelle intenzioni dell’autrice di Point Break e The Hurt Locker c’era una piccola produzione a metà strada tra il documentario e la fiction. Il punto è che ora le vicende reali hanno reso un piccolo film indipendente qualcosa di inaspettatamente più grande. E la Bigelow non ha ancora deciso come procedere. C’è addirittura chi dice che sarebbe già pronta a lasciar perdere tutto quanto il progetto. Altri dicono che stia già scrivendo insieme allo sceneggiatore Mark Boal un nuovo finale. Altri ancora sostengono che potrebbero entrare in gioco delle grandi case di produzione. Kathryn Bigelow è una regista atipica, che ha sempre girato con un suo stile marcatamente riconoscibile. Schiva, restia ad accettare i compromessi delle major, potrebbe perdere interesse verso una storia e un personaggio che sono diventati Storia e Personaggio. Senza contare la prevedibile inflazione di pellicole con al centro Bin Laden che vedranno la luce nei prossimi anni. Almeno lì, sulla pellicola, gli americani sperano di poter vedere la faccia del cattivo giustiziato e i fondamentalisti quella del martire sacrificato.

mercoledì 4 maggio 2011

Vedere la Scienza: intervista al direttore Pasquale Tucci

«Milano si è scordata che la scienza è cultura». Parola di Pasquale Tucci, professore di Storia della fisica all’Università degli Studi di Milano e direttore di Vedere la scienza: il festival di cinema scientifico che Science include tra i sei più importanti al mondo con quelli di New York, Parigi, Atene, Bangkok e Australia. Vedere la scienza è una delle poche iniziative milanesi per divulgare la scienza. Che in città spesso è vista come un corpo estraneo.
«Città e comunità scientifica hanno un rapporto di reciproca indifferenza», dice il professor Tucci. «Ma è inutile fare il solito “pianto greco” sui tagli. Quelli ci sono, però la Lombardia è in una situazione privilegiata rispetto alle altre regioni italiane».
In Lombardia ci sono 11 università con facoltà scientifiche e, secondo il professore, «quasi tutte hanno un’attrezzatura molto avanzata che permette di essere competitivi a livello internazionale. Questo accade con la fisica, in parte con l’astrofisica e le ricerche sulla salute».
Ma allora cos’è che non funziona tra Milano e la scienza? «Manca del tutto una rappresentanza scientifica nella società civile», risponde il professor Tucci. Che continua: «Se bisogna mettere qualcuno a dirigere la Pinacoteca di Brera è fuori discussione che debba essere uno storico dell’arte. Invece all’Asl o al Museo della Scienza e della Tecnica non si mettono medici o scienziati, ma avvocati o manager». Le colpe non sono tutte di Milano: «La cultura non assimila gli scienziati e anche gli scienziati non fanno nulla per entrare nella società culturale», dichiara il professore. Il risultato? «L’attività scientifica viene percepita come settaria e fine a se stessa», spiega il professor Tucci. «E lo scienziato si sente come un tecnico. Così la scienza finisce per non avere voce. La situazione si ripercuote sui luoghi di conservazione del patrimonio scientifico», aggiunge il professor Tucci. Che è anche direttore del Museo Astronomico e Orto botanico di Brera. Il museo conserva gli strumenti appartenuti all’Osservatorio astronomico, il più vecchio istituto di ricerca scientifica della città. L’orto è uno dei più antichi d’Italia. Nonostante questo, non è inserito nei vari progetti sul futuro di Brera. Ma come si può sensibilizzare Milano sui temi scientifici? «La strada è quella della divulgazione», risponde il professor Tucci. «Bisogna valorizzare il ruolo culturale della scienza e stringere rapporti più stretti soprattutto con i giovani. È quello che proviamo a fare noi con iniziative come il festival cinematografico».
Se scienza e città non dialogano, il cinema può diventare uno strumento per avvicinare le persone agli argomenti scientifici: «Noi non vogliamo film solo per addetti ai lavori», spiega il professor Tucci, «ma documentari scientifici che sappiano unire una ricerca rigorosa a una buona tecnica cinematografica. Vogliamo arrivare a più pubblico possibile. I film devono essere uno spettacolo e non una lezione».
Forse per questo non è facile coinvolgere molti scienziati nell’iniziativa: «In Italia la ricerca assomiglia spesso a un’accademia chiusa in se stessa», dice il professor Tucci. «Il nostro festival invece vuole lanciare un sasso nello stagno. Vogliamo metterci in discussione e alimentare un confronto sui fatti e i valori messi in gioco dalla ricerca scientifica».
Nel nostro Paese, Vedere la scienza è un caso unico: «In Italia manca la cultura scientifica», spiega il professor Tucci, «e per quanto riguarda i documentari c’è una produzione limitata e scadente. Normale che di eventi come questo ce ne siano pochi».
Se guarda al futuro, il professor Tucci non è ottimista: «Nel 2005, grazie a un accordo ministeriale, il festival aveva 450 mila euro di fondi. Oggi ne ha 50 mila e per sopravvivere bisogna arrampicarsi sugli specchi». Sospira: «Sì, c’è proprio bisogno che Milano si ricordi che la scienza è cultura».


martedì 3 maggio 2011

Habemus Papam e le critiche del Vaticano


Umano, troppo umano. Le critiche del Vaticano e dei suoi mezzi di informazione al film di Nanni Moretti Habemus Papam hanno segnato una nuova tappa del fastidio della Chiesa verso chi si azzarda a parlare di lei. Bizzarro che il Vaticano non abbia ancora capito che quando critica qualcosa automaticamente ne fa la fortuna. Era successo così con Il codice Da Vinci di Dan Brown/Ron Howard. Succede così con Habemus Papam, che ha registrato ottimi incassi da quando è uscito in sala. È in particolare il cinema che fa paura alla Chiesa, per la sua diffusione e la sua potenza iconografica.
Ma cosa può aver scatenato le critiche ecclesiastiche su Habemus Papam? Salavtore Izzo di Avvenire ha invitato il pubblico a non andare a vederlo, dicendo che i cattolici non hanno bisogno di vedere un papa sullo schermo, perché il Papa loro ce l’hanno già, ed esiste davvero. E il Papa non si tocca. Ecco, ma perché dire: “Non andate a vederlo?”. È automatico che anche coloro che avevano il dubbio se andare o no dopo questa frase ci sono andati di sicuro. Altri vaticanisti hanno criticato Moretti per la sua quasi totale assenza dallo schermo. Eh sì, perché nei film precedenti ci aveva abituato a una presenza costante nella storia, causata dal suo fastidioso egocentrismo che pregiudicava la riuscita dei suoi film. Quindi, in pratica, questa seconda corrente di critici denigra Habemus Papam per non avere il difetto dei film precedenti di Moretti. Un po’ contorto come ragionamento.
La verità è che il film di Moretti non piace alla Chiesa perché ci presenta i preti, il Papa in primis, come degli esseri umani. Come tutti gli uomini, il Papa ha dei dubbi, è vulnerabile e insicuro. E la Chiesa non può tollerare che il prete, a maggior ragione il Papa, sia considerato un uomo. Il Papa deve essere considerato qualcosa di divino, un tramite con il Padre e Cristo, che invece proprio facendosi uomo incarna il divino.
Divino, quindi umano.


lunedì 2 maggio 2011

Vedere la scienza festival 2011


E sono quindici. “Vedere la scienza festival” nel 2011 entra in piena età adolescenziale, eppure di strada e di esperienze ne ha già fatte tante. Da semplice rassegna di film a carattere scientifico è diventato un festival internazionale. Ma da sempre mantiene lo spirito originario, quello divulgativo. Sono gratis tutte le proiezioni che si dividono tra lo Spazio Oberdan di viale Vittorio Veneto e la mediateca Santa Teresa di via Moscova tra lunedì 2 e domenica 8 maggio.
Dal film Alieni d'Amazzonia, film vincitore nel 2010
Quest’anno un occhio particolare alla chimica, in occasione dell’Anno internazionale della chimica e del centenario del Nobel a Marie Curie, che viene omaggiata con la proiezione dell’omonimo film diretto da Marie-Christine Barrault, in programma nella giornata di inaugurazione, lunedì 2 maggio. Ma attenzione particolare sarà data ai temi ambientali, in particolare sui parchi e i giardini. Tra i molti film arrivati da tutto il mondo potrebbe nascondersi qualche perla. Il programma prevede proiezioni per le scuole la mattina, festival con i film in concorso al pomeriggio, rassegna di celebri film del passato alla sera. L’obiettivo è quello di attrarre non solo un pubblico specialistico ma anche i cinefili per eccellenza. Tra i titoli in cartellone, imperdibili Oltre il giardino di Hal Ashby con un magnifico Peter Sellers, Sogni di Akira Kurosawa e il documentario di Bernardo Bertolucci La via del petrolio, che chiude la rassegna domenica 8 alle 17,30.
La scienza si può anche vedere. E non annoia.