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Due mesi fa l’“Espresso” usciva in edicola con Nanni Moretti in copertina e un servizio esclusivo che rivelava trame e segreti del nuovo film. Chi abbia avuto la sventura di imbattersi in quell’articolo si spera abbia anche avuto il buon senso di non proseguire nella lettura perché a (ri)leggerlo oggi appare inverosimile il numero di dettagli rivelati. Per rispetto di chi realizza un film e dei suoi futuri spettatori non bisognerebbe mai svelare troppo e per “Habemus Papam” sarebbe sufficiente dire che è la storia di un Pontefice (Michel Piccoli) fresco di elezione in Conclave, che cade vittima della depressione e per il quale viene chiamato in soccorso il più bravo psicanalista in circolazione (Nanni Moretti).
Per fortuna le grandi opere vivono grazie a quel margine di imprevedibilità che nessun resoconto verbale può restituire e “Habemus Papam” è una di queste. L’ossessione per il colore rosso che attraversa la filmografia di Moretti trova qui la sua più compiuta manifestazione, viene quasi da pensare che il rosso cardinalizio, ricombinabile e ricombinato all’infinito nello spazio dell’inquadratura, da solo possa essere servito come motore di ispirazione nella costruzione visiva di questo film in cui c’è tutto il Moretti che conosciamo. C’è la passione per lo sport nei tornei di pallavolo tra cardinali. C’è la psicoanalisi che si scontra con la fede e dall’apparente inconciliabilità tra inconscio e anima si passa all’affermazione che “nella Bibbia ci sono tutti i sintomi della depressione”. C’è l’arma potente dell’ironia, qui insolitamente bonaria, che era stata offuscata dalla messa in scena di un dolore troppo grande ne “La stanza del figlio” e da una denuncia politica troppo sentita nel “Caimano”.
Senza queste ultime pellicole sarebbe però impensabile oggi un Nanni Moretti che si fa da parte e lascia spazio al crepuscolare Michel Piccoli, ritratto nella sua commovente solitudine come solo Manoel de Oliveira aveva saputo fare dieci anni fa in “Ritorno a casa”. Il Papa Melville (chiaro riferimento al cineasta francese) è fallibile come un uomo ed è soffocato da un opprimente senso di inadeguatezza. Osserva le masse di fedeli di nascosto da una finestra che non è quella ufficiale, si mescola alla folla e rivolge lo sguardo verso San Pietro come se fosse un uomo qualunque. Accanto allo straordinario attore francese ritroviamo alcuni attori già morettiani (Margherita Buy, Jerzy Stuhr, Dario Cantarelli, Renato Scarpa). Tornano a collaborare con il regista Francesco Piccolo e Federica Pontremoli per la sceneggiatura e Franco Piersanti per le musiche, mentre si annoverano per la prima volta la co-produzione di Domenico Procacci e la scenografia di Paola Bizzarri, che riproduce con accuratezza le solenni stanze vaticane.
Moretti tiene insieme i vari elementi da superbo direttore d’orchestra per creare un film non anticlericale né scandaloso, ma che resta il film di un non credente ed è per questo più autentico e non influenzato dalla reverenziale sottomissione alle massime figure ecclesiastiche di certa fiction televisiva. Non poteva che essere un regista italiano e romano a raccontare il potere temporale al cinema e la presentazione al Festival di Cannes – la conferma ufficiale è arrivata ieri – con un’icona del cinema d’Oltralpe come protagonista difficilmente lascerà indifferenti i francesi.
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