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mercoledì 2 marzo 2011

Beyond, la febbre del passato

«Il male è nelle cose», pensava il protagonista di un romanzo del poeta milanese Maurizio Cucchi. Così in Beyond, prima prova dietro la macchina da presa dell’attrice bergmaniana Priscilla August, il male è insito in ogni inquadratura, in ogni primo piano, in ogni dettaglio. È un male sottile e impercettibile, stratificato nelle cose per addizione. Un male che si accumula con il tempo e si nutre di passato. Si insinua come un fluido fra le maglie dei vestiti, le tazze della colazione e le candeline per la torta di compleanno. Fino a che, prima che ce ne possiamo accorgere, si impadronisce della forma stessa del nostro presente, delle forma di ogni cosa. Ed esplode. Violentemente.  

Leena - una Noomi Rapace in stato di grazia – è una donna che vive un idillio costruito su questo male. Ha due splendide bambine ed un marito che adora. La sua fortuna però, ha fondamenta fragili, minate da un passato violento che ha nascosto alla sua coscienza come a quella dei suoi cari. Quando, improvvisamente, riceve una telefonata che la chiama al capezzale della madre morente, quel passato ritorna e sbriciola ogni cosa. In lei come fuori di lei. Comincia un viaggio verso l’ospedale dove la madre è ricoverata, che è assieme un andare ed un ritornare. Un avvicinarsi ed un regredire. L’incontro con la madre accende in Leena la polveriera dei suoi ricordi. La costringe a ritornare alla sua difficile infanzia da figlia di immigrati finlandesi in Svezia. Un padre sempre ubriaco e una madre impotente, pronta a perdonare ogni volta le percosse del marito.

I ricordi, come insegna Ibsen, sono sempre fantasmi. Che in Beyond si fanno brividi della pelle, unghie nella carne, espressioni del volto stralunate e tremori delle mani. La macchina da presa della August si incolla a Leena, riempiendo lo schermo delle sue pupille dilatate, dei suoi fremiti di angoscia, delle febbri del suo passato che ritorna e lei non riesce né ad accettare né a superare. Ma indugia anche su ciò che Leena tocca, sfiora, mangia, fuma. Quando è costretta a stare con la famiglia nel vecchio appartamento dove era cresciuta così da poter assistere la madre, ogni oggetto di quelle stanze le diviene ostile. Lava freneticamente le stoviglie, la tazza del cesso, strappa alcuni vestiti di dosso alle figlie perché erano i suoi da giovane, urla al marito di non toccare nulla. Vorrebbe dominare, da adulta, il mondo che l’ha violentata da bambina. Ma tutto è beyond, dietro, oltre: inafferrabile.

Priscilla August confezione un film inteso e drammatico, arricchito di quella lezione bergamniana che vuole la cinepresa vicino al cuore e alle rughe dei suoi personaggi. E non dimentica le parti fondamentali del dogma di Trier affinché l’arroganza del cineasta si avvicini alla verità di ciò che accade sulla scena. Quello che più colpisce di questo Beyond è proprio la verità: l’autenticità del lavoro della macchina da presa sugli attori. Che trasforma l’occhio meccanico della telecamera in carezzevole sguardo. 

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