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mercoledì 23 marzo 2011

FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO: La Mosquée

Mettete che un giorno qualcuno voglia girare un film nella vostra città. E' un film storico, legato alle vicende dei primi cristiani. Mettiamo che il set venga costruito nella vostra zona. Tra le scenografie previste nel film c'è anche una chiesa. Mettiamo che questa finta chiesa venga costruita nel cortile di casa vostra. E mettiamo che quando le riprese finiscono tutta la scenografia venga demolita tranne quella chiesa, che si trova nel cortile di casa vostra. Ora quella finta chiesa costruita nel cortile di casa vostra che faceva parte della scenografia di un film storico che tratta le vicende dei primi cristiani è diventata una vera chiesa frequentatata dai fedeli della vostra zona e della vostra città. E l'attore che interpretava il prete della finta chiesa costruita nel cortile di casa vostra che faceva parte della scenografia di un film storico ora è anche il prete della vera chiesa dove vanno a pregare i fedeli della vostra zona e della vostra città. E la chiesa è sempre nel cortile di casa vostra. E poniamo che il cortile di casa vostra non sia proprio un cortile, ma un campo dove producete, che so, latte. E che il latte sia il vostro mezzo di sostentamento. Ma ora nel cortile di casa vostra, che in realtà è il campo dove producete latte che è il vostro mezzo di sostentamento c'è costruita una chiesa. Una finta chiesa che faceva parte della scenografia di un film storico, ma ora è una vera chiesa dove la gente va a pregare.
Cosa fate allora? Cercate di demolirla, questa chiesa. 
Il regista Daoud Oulad Syad
E' questa la geniale idea di partenza de La Mosquée, film marocchino presentato al Festival del cinema africano, d'Asia e America Latina a Milano. Il regista Daoud Oulad Syad, che ha già raccolto grazie a questo film il premio per la sceneggiatura al Festival del cinema francofono di Namur (Belgio) e la menzione speciale della giuria a San Sebastian, realizza un piccolo gioiello. Metacinema e metavita, si potrebbe dire. La storia del povero Moha è raccontata in modo intelligente, divertente e mai banale. Syad riesce a raccontare con delicatezza e acutezza una situazione paradossale dove nessuno, tra falsi imam vestiti da centurioni, imam veri e turisti cinesi che filmano la falsa moschea, è capace di ascoltare le parole del protagonista. Moha parla, si lamenta con tutti e lo fa in continuazione. Ma la piccola società in cui vive non può più accettarlo nel momento in cui quelle parole le dice alla televisione, arrivata nel suo sperduto villaggio per riprendere una band che si prepara al festival musicale di Marrakech. Moha prende il microfono ma gli viene tolto.
La chiesa è ancora nel vostro cortile.

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